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I 12 della Granda per la coltivazione della mandorla

AGRICOLTURA Quindici ettari di impianti – quattro in produzione e i restanti messi a dimora da poco – dieci quintali di raccolto e tante ambizioni: sono gli elementi dai quali parte la sfida dei dodici produttori cuneesi associati nel neonato consorzio della mandorla Piemonte. Paolo Aymar, 32 anni di Villar San Costanzo è, da pochi mesi, il presidente dell’ente: «Non abbiamo ancora una sede, siamo ospitati dalla Coldiretti, ma intendiamo dotarci di un laboratorio e di magazzini per dare servizi ai nostri affiliati». Il giovane imprenditore possiede due giornate piemontesi piantate, «una con alberi di 4 anni già in produzione, l’altra piantumata l’anno scorso. Ho iniziato perché volevo sperimentare una coltura alternativa: negli ultimi anni molti hanno fatto lo stesso, al momento si tratta di piccole superfici; è tutto nuovo».

I 12 della Granda per la coltivazione della mandorla

L’idea del consorzio nasce dalla volontà di coordinare non solo le attività in campo, in collaborazione con i tecnici di Agrion Piemonte e Coldiretti Cuneo e Asti, ma la vendita del prodotto: «La Life di Sommariva Perno si è detta interessata ad acquistare i frutti dando vita ad accordi di filiera». A spingere gli agricoltori verso la nuova opzione, in alternativa agli altri frutteti, oltre ai minori costi di manodopera, è il vigore vegetativo degli esemplari. «I mandorli non hanno avuto crisi di trapianto», ma l’aspetto di maggiore rilievo riguarda le rese: «Da una pianta di quattro anni si possono ricavare fino a quattro chili di frutti secchi, con l’irrigazione potremo raddoppiare a dieci chili per albero raggiunti da impianti in piena produzione nel Mezzogiorno». Un risultato da non confondere, in termini di prezzi, con le produzioni su scala industriale di Paesi come la Spagna: «Le nostre mandorle devono valere fra i 3 e i 4 euro il chilo, non l’euro e 50 centesimi offerto agli agricoltori dell’Italia del Sud». Fra i molti cultivar esistenti, quattro sono i più diffusi fra i soci: le varietà Macaco, Penta, Tuono e Lauranne; gli esemplari arrivano, per lo più, dalla Vitroplant di Cesena, «sono realizzati in vitro a partire da sezioni di radici. In questo modo si evita l’innesto e i problemi che ne derivano».

A dispetto delle apparenze il nostro clima è adatto alla pianta, che appartiene alla famiglia del pesco, ma necessita di inverni freddi. Dal punto di vista fitosanitario, «ci limitiamo ad alcuni trattamenti a base di rame e zolfo nei periodi di maggiore umidità. Un fattore essenziale per la fruttificazione e, allo stesso tempo, fonte di problematiche per l’albero».

La raccolta, da poco conclusa, è al centro di sperimentazioni: accantonata l’ipotesi di usare un ombrello meccanico (gli alberi vanno scossi) si stanno testando le macchine impiegate per le nocciole, «con buoni risultati. Alcune aziende come Chianchia e la Merlo si sono dette interessate a costruire macchinari per la filiera». Sperimentazioni interessano anche le lavorazioni successive: il frutto, avvolto nel mallo, deve esserne privato prima di venir essiccato.

«Quest’anno ci siamo affidati a un terzista per le operazioni di smallatura ma, in futuro, vorremmo gestirle in autonomia», aggiunge Aymar: i soci potrebbero così conferire il prodotto e non affrontare spese di acquisto di nuovi macchinari, previo versamento della quota. «Noi fondatori abbiamo finanziato le spese di costituzione con 200 euro a testa, la stessa somma che chiediamo a chi vuole affiliarsi, il costo annuo sarà invece di 50 euro».

d.g.

L’esperienza di Aldo Colonna a Baldissero: «Il Roero potrebbe diventare patria di questi frutti»

MANDORLA  Aldo Colonna di Baldissero è uno dei 12 soci che ha aderito al consorzio della mandorla Piemonte: «Lavoro in Comune da 43 anni, fra poco andrò in pensione, per questo ho deciso di piantare una parte dei terreni avuti in eredità a mandorli. Coltivare la terra mi appassiona da sempre, i miei genitori erano contadini».

Gli appezzamenti, 13mila metri quadri (circa tre giornate e quaranta tavole piemontesi di superficie) erano «a gerbido da tempo, dopo averli ripuliti con l’assenso dei Carabinieri forestali, ho messo a dimora 450 piante per provare una coltura diversa. Posso permettermelo perché la terra non è la mia fonte primaria di reddito». Il frutteto si trova su un versante esposto a sud – le aree di fondovalle sono inospitali – su terreni «risultati appropriati dopo le analisi svolte da una fitoiatra che, su altri appezzamenti mi ha consigliato di piantare noccioli. Non è stato possibile, però, dotarli di impianti di irrigazione».

Settanta chili di mandorle, il raccolto dell’annata. In teoria la produzione avrebbe dovuto essere molto più consistente, poi sono arrivate le pesanti gelate del 7 e 8 aprile, «che su un terreno di tremila metri quadri non hanno risparmiato un solo fiore». Ma «con l’innalzamento delle temperature il Roero potrebbe diventare la patria della mandorla». La sua microazienda, che conta anche noccioleti, ha avviato l’iter per la certificazione biologica: «Fra le piante ho seminato erba, nei noccioleti trifoglio e non uso diserbanti. Per le operazioni meccaniche mi affido a un terzista, per le potature a uno studente di agraria».

Gli unici trattamenti sono a base di rame in autunno e zolfo a primavera: «Quest’anno sono dovuto andare fino a Carignano per trovare il prodotto compatibile: in zona non erano disponibili». La decisione di aderire al consorzio è figlia di valutazioni commerciali: «La Life che pure tratta frutta secca acquista solo grandi partite dai grossisti», conclude Colonna. L’unione fra i coltivatori potrebbe creare un canale di smercio conveniente.

d.g.

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