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La paura, un’emozione che pervade 3 persone su 4

Quattrocento minori nella povertà assoluta

L’INCHIESTA La paura è utile: eppure, se non sappiamo come gestirla, può diventare pericolosa. Può cancellare le emozioni e rendere obbedienti, annullando lo spirito critico e sottraendoci la vita. Se vissuta con saggezza può invece essere una valida alleata, che stabilisce limiti e genera umiltà, affratellando anziché allontanare. In un periodo che ci vede alle prese con continue minacce (la difficoltà economica, la pandemia, la crisi climatica, la precarietà e la disuguaglianza sociale, tanto per citare), per capire come le
persone vivono questa emozione – la paura –, abbiamo realizzato un sondaggio a cui hanno risposto in pochi giorni oltre un centinaio di persone. I risultati raccontano mondi altrimenti invisibili, privati e sommersi. «Quanto sovente vivi l’emozione della paura?», recitava la prima domanda. Quasi il 70% delle persone ha risposto «qualche volta»; uno su quattro ha detto «spesso»; solo una minima percentuale riferisce «mai»
oppure «sempre». Dunque, la paura circola con prepotenza tra i nostri intervistati. Per il 51% dei lettori il miglior modo di gestire l’emozione è rappresentato dallo scudo della famiglia, per circa una persona su tre dagli amici. Sono dunque i legami intimi a proteggere, a produrre antidoti all’angoscia.

Ci sono altre soluzioni: il 22% (quasi una persona su quattro) ricorre alle preghiere, solo il 13% allo sport e il 5% alla meditazione. Una grande quota di individui prova invece a «non pensarci» (il 22%) e ritiene efficace questa strategia. Il lavoro è infine scelto come antidoto alla paura solo dal 14,8% del campione. Questi primi dati raccontano storie importanti, che ritraggono l’individuo  che ha risposto alle nostre domande come una persona che valorizza – come modalità per affrontare i timori della vita – il focolare domestico e le relazioni personali molto più che l’arte, l’attività fisica e l’introspezione. Uno dei dati più rilevanti sembra riguardare la risposta alla domanda: «In questo periodo hai più o meno paura rispetto al passato?». Il 75% degli intervistati, ovvero tre persone su quattro, rispondono «di più». In questa affermazione è contenuto un messaggio esplicito, la dimostrazione di come il periodo attraversato risulti denso di sfide e insidie.

Quanta paura abbiamo

I media e le campagne allarmistiche, il clima che cambia, i conflitti e le difficoltà economiche contribuiscono a generare tensione, tanto che la maggioranza dei lettori che rispondono al questionario stabilisce che l’emozione della paura su un’ipotetica scala da uno a 10, ammonta in media ad almeno 8,5 punti. Eppure questa grande sfida può anche rappresentare un momento utile, uno sprone a migliorare, un’indicazione di strade da percorrere. La paura è infatti un dispositivo di soccorso umano, se decifrata e ascoltata con cura, una trappola se invece viene sottovalutata o ignorata. Oggi la paura scandisce il tempo quotidiano, le relazioni con gli altri e il modo in cui abitiamo noi stessi: iniziare a conoscere questa compagna di vita invece di volerla rimuovere diventa sentiero di crescita non solo individuale, ma anche sociale.

Sara Elide

La psicologa: è una risposta fisiologica a uno stimolo considerato dannoso

Elena Fontana è una psicologa che lavora nel centro Elicante e nell’associazione no profit Apneia di Alba. Il gruppo opera anche nell’ambito della nutrizione clinica, della fisioterapia e della logopedia, occupandosi d’introdurre nel mondo sanitario una maggiore equità, con attenzione ai diritti umani, all’ambiente e all’uguaglianza sociale.

Che cos’è la paura e perché è importante, Fontana?

«Su definizione di Eric Kandel, la paura è una risposta fisiologica, comportamentale, cognitiva e soggettiva a uno stimolo percepito come dannoso. La premessa generale a questo argomento è che la paura è un’emozione fondamentale, fisiologica e che condividiamo con molte specie animali. Si tratta di una risposta evolutiva funzionale alla nostra sopravvivenza e ci prepara ad azioni che possano metterci in salvo come la lotta, la fuga o il freezing (letteralmente: congelamento). Quando uno stimolo in ipotesi dannoso viene percepito, si attiva una risposta rapida e immediata come la fuga, addirittura prima che ci si possa rendere conto da che cosa si stia scappando, in quanto è prioritario per l’individuo mettersi in sicurezza. L’elaborazione accurata arriva soltanto in un secondo momento. La paura si considera quindi assolutamente protettiva, ma è anche un’emozione a elevato dispendio e, infatti, è legata alla presenza esclusiva di uno stimolo. Quando questo non è più oggetto di attenzione, la paura si deintensifica, altrimenti per il nostro corpo sarebbe uno stato di stress troppo grande».

Anche l’ansia deriva dalla paura, quindi?

«L’ansia è diversa. Come diceva Le Doux, l’ansia è “la paura interna del mondo esterno”, ossia è una risposta a un segnale di pericolo che tuttavia non necessariamente ci troviamo di fronte e che può essere anche solo immaginato o percepito».

A suo avviso, perché la paura in questo momento storico e sociale è elevata e come fare ad affrontarla?

«In questo momento vi è una commistione di paure e ansie, già presenti e legate al sistema attuale sempre maggiormente richiedente e perfezionistico. Inoltre, stiamo vivendo un periodo di emergenza sanitaria che ha generato impatto sotto ogni punto di vista: dalla sfera psicofisiologica agli ambiti economico, politico, sociale e culturale. In parte lo stato di allerta ha la sua fisiologicità: lì, dove si viene a conoscenza di una potenziale minaccia per la salute è importante attivarsi per prendersi cura di sé. Diverso è, però, vivere in un periodo esteso di emozioni quali paura, angoscia, vulnerabilità, ansia, insicurezza, rabbia e impotenza».

Che cosa si può fare?

«Non c’è una ricetta, perché ogni emozione ha un significato soggettivo per chi la prova. In generale, è importante ricavarsi dei tempi per ascoltarsi e capire come prendersi cura di emozioni che tanto stanno dicendo di noi, permettendoci di dare una forma e un significato ai vissuti e, al tempo stesso, dedicare attenzione al proprio corpo. Insomma,
c’è bisogno di molta cura, di consapevolezza e pure di comprensione».

Come si manifesta la paura? Quali forme può assumere?

«La paura si manifesta come uno stato di perenne allerta o ipervigilanza, che prende connotati specifici in ciascuno. Per fare alcuni esempi, le ansie si riferiscono a timore per la vita, alla contaminazione della salute propria e altrui, allo scarso controllo rispetto
alla quotidianità, alla perdita di autonomia e anche alla possibilità di scelta, all’isolamento o alla solitudine. Talvolta, ha impatti più lievi, altre volte riscontriamo effetti importanti, quali l’alterazione del ritmo circadiano, la qualità e la durata del sonno, l’aumento della tensione muscolare e la sofferenza fisica, l’alterazione dell’appetito, effetti gastrointestinali, presenza di crisi o attacchi di panico. Tutto questo ci fa capire quanto uno stato di stress prolungato possa davvero avere gli effetti psicofisiologici più disparati e quindi, ancora di più in questo momento storico e sociale, quanto sia importante – in presenza di difficoltà persistenti – un grande lavoro di rete e di collaborazione tra professionisti. È quanto tentiamo di fare con il nostro gruppo di lavoro, con attenzione alle fasce di persone più vulnerabili. Chi fosse interessato alle nostre attività, può scrivere all’e-mail apneia.associazione@gmail.com».

s.e.

In sette casi su dieci è utile a far agire con prudenza

Per conoscere una comunità è importante indagare i suoi incubi: che cosa fa più paura alle persone, quali fantasmi abitano i loro mondi interiori. Alla domanda del nostro sondaggio – «Che cosa temi di più nella vita?» – una persona su due ha risposto: «Le malattie o la morte delle persone a me care». Invece il 30% ha scelto: «Le questioni
sanitarie legate alla mia persona». In altre parole si teme di più per la salute dei familiari che per la propria. Si tratta di una sorta di altruismo fisiologico, di una predisposizione al legame più che all’egoismo? La risposta è complessa, da analizzare su livelli di profondità multipli. Altre percentuali indicative compaiono nelle successive risposte: il 20 per cento dei lettori ha detto di temere il fallimento, un analogo 20% la solitudine
e un altro 30% la possibilità di perdere risorse economiche. Soltanto 7 su cento hanno affermato di temere l’abbandono, mentre il 10% ha ammesso che nella scala delle ansie personali il primo posto lo guadagna «la politica» e le correlate decisioni, mentre l’11% teme più di ogni altra cosa il giudizio degli altri.

«Secondo te la paura è utile?», abbiamo insistito. Per il 70% dei lettori che hanno risposto al questionario di Gazzetta d’Alba di cui trattiamo in queste pagine la risposta è «sì». Soltanto tre su dieci rispondono di no. Questa sicurezza nell’attribuire un valore importante a un’emozione solitamente considerata spiacevole rivela un’intelligenza emotiva profonda e molto diffusa a livello sociale. Tra chi considera utile la paura, molte sono le motivazioni. Per esempio, un lettore ha spiegato che questa emozione «aiuta a limitarsi, se non è esagerata» e un altro ha sottolineato che «fa essere prudenti». Dunque, il timore stabilisce un limite, un confine a ciò che altrimenti risulterebbe pericoloso o invasivo per gli altri. «Nei giusti limiti la paura aiuta a riflettere di più», ha commentato un intervistato, e un altro ha rincarato: «Aiuta a proteggerci dai pericoli».

«È uno stimolo per aumentare il nostro livello di consapevolezza e attenzione circa quanto ci sta accadendo intorno», ha spiegato qualcuno, mentre per altri «la paura può indurre anche a verificare meglio le situazioni, a patto che non sia bloccante». Insomma, non è tanto la paura in sé a rappresentare un elemento negativo, ma quanto dura, quale funzione svolge, quanto è intensa e come noi sappiamo accettarla, utilizzarla e modularla, dandole una forma creativa e comunicabile. Ma i nostri lettori tutto questo lo sanno già.

s.e.

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