Nuovi vitigni resistenti a peronospora e oidio

Nuovi vitigni resistenti a peronospora e oidio
La parte della vigna nella quale si studiano le varietà resistenti alle malattie della vite come peronospora

AGRONOMIA In viticoltura si lavora da anni, in Italia come nel resto del pianeta, per realizzare vitigni resistenti alle malattie della vite, in particolare a peronospora e oidio. Qualcosa di importante si sta facendo anche in Piemonte e, in particolare, nell’Albese, con la scuola Enologica che si sta dedicando alla sperimentazione mirata, in vigna come in cantina, su alcune varietà di vite messe a punto dai vivai Rauscedo. E non si tratta dei vitigni che nel passato avevano destato interesse, ma che poi all’atto della degustazione dei vini avevano lasciato perplessità e titubanze.

I lavori di sperimentazione condotti in campo e in cantina all’Enologica operano su varietà molto più evolute, nelle quali la quota genetica della resistenza è limitata a una parte molto piccola del genoma della pianta, mentre quella principale è finalizzata al mantenimento dei caratteri organolettici che le singole varietà presentano da sempre.

Questa considerazione non è frutto di pareri o di sentito dire, ma di una verifica concreta che ci è stata concessa grazie alla disponibilità al confronto venuta proprio dalla scuola albese.ù

Nuovi vitigni resistenti a peronospora e oidio 1
I contenitori di microvinificazione nella cantina sperimentale della scuola Enologica.

Procediamo per gradi. Cominciamo a riferire ciò che è stato fatto dal 2017, quando è stata realizzata una vigna sperimentale a fianco della cantina dell’Enologica. In questo impianto sono state messe a dimora 14 varietà di vite tra bianche e nere e per ciascuna sono state piantate quaranta barbatelle in modo da consentire la produzione di una quantità adeguata (tra 60 e 100 chili di uva) a condurre una microvinificazione di una certa consistenza, capace di garantire lo sviluppo dei lavori in efficienza.

Nell’ambito della cantina sperimentale è stato realizzato un laboratorio di microvinificazione, impianto unico nel suo genere nel contesto albese, con quattro contenitori per la vinificazione in bianco e quattro per quella in rosso, tutti con il controllo della temperatura e di una serie di altri parametri, gestiti in via telematica per verificare l’andamento delle operazioni di trasformazione dei mosti in vini.

Al loro fianco, otto “semprepieni” in acciaio inossidabile per le fasi successive di lavorazione a volumi meno definiti, accompagnati da damigiane di varia dimensione e contenitori di più piccola capacità (bottiglie e mezze bottiglie), che sono conservate in due celle frigorifere. Contemporaneamente, l’Assessorato all’agricoltura della Regione sta coordinando altri lavori sperimentali sulla medesima materia condotti dall’Università di Torino e dalla fondazione Agrion alla tenuta Cannona di Carpeneto.

All’Enologica, i lavori sperimentali sono seguiti da due docenti: Marco Rainotti per la parte enologica ed Emanuele Fenocchio per quella viticola. Nella degustazione che abbiamo svolto a seguito dell’incontro e della visita agli impianti abbiamo potuto testare tre vitigni a frutto bianco (Sauvignon, quello che un tempo si chiamava Tocai friulano e che oggi è denominato semplicemente Friulano e un Pinot da base spumante) e tre a frutto nero (Merlot, Cabernet Sauvignon e Sangiovese). Le annate testate sono state ovviamente solo due, 2021 e 2020, in relazione ai tempi di impianto e di produzione.

I risultati della valutazione organolettica sono stati interessanti e promettenti. Non abbiano riscontrato nel modo più assoluto quei sentori non gradevoli e anche fuorvianti (foxy o uva fragola, ecc.) che si trovavano nelle valutazioni dei vini ottenuti dai vitigni resistenti di prima generazione.

Dal punto di vista sperimentale i lavori odierni salvaguardano bene i caratteri organolettici che si possono riscontrare nei vini prodotti con i vitigni convenzionali e questo è promettente per il futuro, anche perché la resistenza dai patogeni ha dato risultati eccellenti: per volontà di verifica su queste varietà negli anni di coltivazione alla scuola Enologica non sono stati fatti trattamenti contro la peronospora e l’oidio, senza però trovare infezioni. Il patogeno è presente sulle varie piante, ma non riesce a superare la barriera di difesa genetica che ogni pianta dispone. E non si deve parlare di modificazioni genetiche, perché la resistenza sulle varie piante è stata ottenuta con il metodo dell’incrocio, che in natura si verifica sistematicamente.

A livello operativo un problema esiste: i costi di individuazione e realizzazione di individui resistenti sono così elevati che per ora Rauscedo si è mossa a livello sperimentale solo su vitigni internazionali o nazionali che promettono un elevato impiego di piante da garantire la copertura dei costi sostenuti. Sarà senza dubbio più difficile – a meno che non ci siano interventi pubblici o dei produttori interessati – che lo stesso lavoro venga svolto sulle nostre varietà autoctone, che hanno un mercato delle barbatelle molto più limitato.

Ma – come si sa – «le vie del Signore sono infinite» e perciò chissà che in un futuro neanche troppo lontano si possa operare su un Nebbiolo o una Barbera resistente alle malattie crittogame. E allora le implicazioni – rispettati i caratteri organolettici dei vitigni convenzionali – potrebbero essere numerose e positive. E non solo di carattere ambientale.

 Giancarlo Montaldo

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