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Il vetro dal recupero al riutilizzo

Il vetro dal recupero al riutilizzo
©MARCATO

ANALISI Gli eventi negativi che coinvolgono da alcuni anni il mondo intero (prima la pandemia, ora la guerra in Ucraina, unitamente a concreti fenomeni speculativi), stanno provocando effetti gravi sull’approvvigionamento di molte materie prime. L’incremento dei costi dell’energia e di riflesso di molti materiali necessari ai processi produttivi sta provocando forti aggravi che mettono a rischio la stabilità economica delle aziende.

Nel settore vitivinicolo, poi, agli aumenti dei costi si stanno accompagnando pericolosi fenomeni di riduzione della fornitura di bottiglie, tappi, cartoni, etichette, ecc., che rallentano e, in alcuni casi, provocano gravi sospensioni degli imbottigliamenti e dei confezionamenti.
Siamo arrivati al punto che l’aumento dei costi viene considerato il male minore, purché ci sia la garanzia di avere a disposizione quanto è necessario a proseguire l’attività.

Il recupero non basta più. Prendiamo il caso delle bottiglie da vino: da un lato la pandemia ha rallentato la produzione, con le restrizioni che hanno interessato anche questo comparto. Dall’altro, l’attività del settore vitivinicolo non solo non è rallentata, ma addirittura ha segnato (in Piemonte come altrove) un aumento dei volumi imbottigliati. Il risultato concreto è che le vetrerie non riescono a mantenere i livelli di fornitura del passato e il settore rischia di non poter imbottigliare tutti i vini che vorrebbe o dovrebbe.

Il recupero del vetro con le classiche campane dislocate in punti strategici delle città e dei paesi non basta più. Il suo contributo nella produzione di nuove bottiglie è sempre più rilevante. E questo sottolinea la validità delle scelte praticate negli anni Ottanta, quando la raccolta del vetro cominciò a prendere piede, ma in una situazione di emergenza come l’attuale anche il recupero non è sufficiente.
Nessuno ha la bacchetta magica e nemmeno è pensabile che ci possa essere una soluzione miracolosa capace di risolvere il problema. Certo è che – in questo come in altri settori – abbiamo costruito una società molto vulnerabile.

E tornassimo anche al riutilizzo delle bottiglie? Sappiamo che proporre il riutilizzo delle bottiglie è quasi una provocazione, anche perché non è un progetto facile e né da improvvisare. Non è la soluzione, ma una delle soluzioni. Ma in tempi non sospetti da parte di qualcuno (Roberto Cavallo della cooperativa Erica) se n’è anche parlato.
Sappiamo che ci sono questioni logistiche da valutare, che vanno pesati i fatti economici e quelli organizzativi, vanno confrontate le impronte ambientali (idrica, carbonica, ecc.), vanno verificate le questioni relative ai vari tipi di bottiglie per forma e colore. 

Ma non si può replicare solo con obiezioni, dubbi e perplessità. Un settore coraggioso, lungimirante e organizzato com’è quello del vino albese dovrebbe almeno pensarci. E il mondo albese dispone anche di un forte elemento unificante, la bottiglia Albeisa: perché non testare questa soluzione oggi che il consorzio sta per compiere cinquant’anni di vita? Senza dimenticare che un lavoro di questo tipo potrebbe essere sostenuto, a livello progettuale e sperimentale, anche dalle istituzioni.

 Giancarlo Montaldo

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