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Siamo tutti chiamati a essere «Chiesa in uscita»

PENSIERO PER DOMENICA – XIV TEMPO ORDINARIO – 3 LUGLIO

Cos’è la missione? La scelta di Gesù è emblematica: affiancare ai Dodici altri discepoli-annunciatori. Tra questi ci siamo anche noi, chiamati a essere quella «Chiesa in uscita» invocata da papa Francesco nell’Evangelii gaudium, abbandonando i tradizionali ambienti protetti per andare in mezzo alla gente, parlare con tutti dei problemi di tutti (il numero 72 simboleggia tutti i popoli della terra). Il tempo di vacanza può favorire l’incontro e il dialogo.

Siamo tutti chiamati a essere «Chiesa in uscita»
L’evangelista Luca ritratto mentre scrive in un dipinto del ’700 conservato nel duomo di Cittadella.

Chi sono i chiamati? I 72 discepoli sono l’emblema della nuova squadra del popolo di Dio, composto di nazioni diverse, di culture varie e di differenti strutture sociali. Nel numero 120 della Evangelii gaudium papa Francesco ci ricorda che «in virtù del battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare a uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni». I chiamati sono dunque tutti i battezzati!

Come essere missionari? Ce lo ricordano le parole del Vangelo di Luca (10,1-12,17-20), che riprendono momenti dell’ultima parte della vita pubblica di Gesù. I missionari sono «agnelli», uomini e donne di pace, in un tempo di tensioni e conflitti. Operano «a due a due», convinti che il modo di stare insieme sia già annuncio. Nel cammino viaggiano «senza borsa, né bisaccia né sandali», in comunione di vita – stessi cibi e bevande – con i destinatari dell’annuncio. Sono aperti sia al successo sia all’insuccesso. L’annuncio del Vangelo ha mai avuto vita facile. È giusto rimarcare le molte difficoltà che si incontrano, a patto di non dimenticare che era così già ai tempi di Gesù. Forse non vedremo mai, come i discepoli, i «demoni sottomessi»: ci basta credere che «i nostri nomi sono scritti in cielo»!

Cosa annunciare? Gesù manda i settantadue «davanti a sé», con il compito di creare uno spazio in cui la buona notizia sia attesa. I messaggeri non sono il Vangelo: preparano solo la strada, luogo di attesa e desiderio. Che bello se nella gente che ci incontra sorgesse anche solo la curiosità di conoscere il Vangelo e incontrare Gesù. Noi non possiamo dire, come Isaia (66,10-14): «Come una madre consola il figlio, così io vi consolerò». Ma crediamo che chi consola è Gesù, dunque la missione è aprirgli la strada.

Lidia e Battista Galvagno

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