L’INTERVISTA L’uomo che viveva sotto al cavalcavia ferroviario, a due passi da piazza Ferrero, non ha un nome. Per un certo periodo, ha gravitato sul Centro di prima accoglienza della Caritas albese, per mangiare e farsi la doccia, dopo una giornata trascorsa in vigna. Forse non ha vissuto da solo e ha condiviso il piccolo spazio improvvisato con un altro bracciante, anche lui africano. Poi, i volontari della Caritas non lo hanno più visto: è possibile si sia spostato altrove, per cercare un’altra occupazione o che abbia trovato una sistemazione migliore. Un invisibile tra gli invisibili, come ce ne sono molti altri. L’unica traccia di lui è un plaid logoro, appeso su una rete metallica affacciata sulla ferrovia. Qualche metro sopra, il marciapiede che collega il centro di Alba con i corsi Europa e Piave, le automobili imbottigliate nel traffico e la vita che scorre senza accorgersi di nulla.
È un altro volto del lavoro agricolo stagionale, che interessa Alba, le Langhe e il Roero. Solo una settimana fa, i volontari Caritas denunciavano le condizioni di lavoro di parecchi stagionali, costretti anche per dieci ore tra i filari, nonostante le temperature elevate e senz’acqua. In effetti, se sul tema dell’accoglienza Caritas e Comune si stanno muovendo, sulla legalità la partita è più complessa. E il ruolo principale non può che spettare agli stessi imprenditori agricoli dei territori Unesco, chiamati a fare la propria parte. Ne abbiamo parlato con Matteo Ascheri, presidente del consorzio di tutela di Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani.
Ascheri, da settimane raccontiamo i volti del lavoro agricolo stagionale, dove restano parecchie le zone d’ombra: che cosa ne dice?
«Non possiamo nasconderci dietro a un dito, perché il problema esiste e siamo chiamati a farcene carico. Diciamo subito che tutti i rapporti lavorativi non chiari, in cui non vengono garantiti i diritti delle persone, non sono accettabili, soprattutto in un’area caratterizzata da una viticoltura d’eccellenza come la nostra. Per lo stesso motivo, il danno è anche d’immagine: parliamo di comportamenti dei singoli che ricadono sulla categoria, rischiando di generalizzare. Ma questo non significa che non si debba agire per affrontare la questione».
Per quale motivo ci sono imprenditori che si rivolgono a cooperative di intermediazione dai profili poco chiari, esponendosi anche a rischi di fronte alla legge?
«C’è da dire che il lavoro agricolo è legato all’andamento climatico: per esempio, quest’anno la stagione è esplosa di colpo e tutte le aziende si sono trovate di fronte alla necessità di trovare braccianti in pochissimo tempo, con una platea di persone disponibili ridotta. Ed è qui che entrano in gioco le cooperative che offrono manodopera, con un elevato rischio d’imbattersi in realtà poco raccomandabili. Certo, ci sono trattative tra azienda e intermediario, ma è quest’ultimo ad “avere il coltello dalla parte del manico”, perché i lavori in vigna vanno completati, così come durante la vendemmia l’uva va raccolta. Il problema potrebbe essere risolto con una reale programmazione del fabbisogno, ma ci sono ancora parecchi passi da compiere. Il risultato è che queste cooperative, anziché sparire, sono sempre più presenti».
Quanti sono gli stagionali che finiscono nelle mani di realtà poco serie?
«Su circa quattromila addetti sul nostro territorio, circa la metà sono assunti direttamente dalle aziende. L’altra metà lavora per le cooperative, molte delle quali – almeno il 25 per cento – serie, legate a Confcooperative. Nell’area restante finiscono i braccianti ingaggiati da realtà poco trasparenti, da sradicare».
Ci vuole un ente che intercetti la manodopera come in Trentino
Quali soluzioni proponete, Ascheri?
«Il primo passo è legato alla sensibilizzazione delle aziende, per renderle consapevoli anche dei rischi che corrono. Ma, in un contesto costituito da tante realtà diverse e in cui le decisioni vengono prese dai singoli, questo approccio non è sufficiente. Abbiamo così deciso di sostenere progetti pilota che possano aprire nuove strade nel rapporto tra imprese e lavoratori, come la nascente Accademia della vigna, patrocinata dal nostro consorzio. C’è poi un passo successivo, il più complesso da portare a termine, perché agisce sull’intero sistema: se l’obiettivo è fare in modo che l’intermediazione di manodopera cessi di essere legata a passaggi non chiari, bisogna offrire un’alternativa. Ho mai nascosto il modello che porto avanti nella mia azienda: assumere direttamente i lavoratori, così da investire su di loro. Ma mi rendo conto che è una strada non praticabile da tutti. L’alternativa migliore potrebbe essere la nascita di un soggetto terzo, pubblico e partecipato dagli stessi consorzi, un ente istituzionale in grado d’intercettare i braccianti e di garantire i livelli di legalità, così da evitare che gli stagionali finiscano nelle mani di personaggi poco limpidi; un modello analogo esiste già in Trentino Alto Adige. È questa la proposta che intendo portare avanti».
L’Accademia in cui s’impara l’impegno etico
Il progetto sperimentale nato da un anno, oggi è pronto a partire con l’obiettivo di dare risposte alle aziende che cercano manodopera qualificata: è l’Accademia della vigna, realtà formativa a forte impatto sociale, frutto della coprogettazione di diversi enti. In cabina di regia c’è la cuneese Weco, nata da Exar social value solutions, impresa a forte impatto sociale che sviluppa strategie innovative nel campo delle politiche del lavoro. La rete coinvolge anche la start up cuneese Humus job, la Cia di Cuneo (Confederazione italiana agricoltori), la Fai-Cisl cuneese e l’Anolf (Associazione nazionale oltre le frontiere), ma anche il Centro provinciale per l’istruzione degli adulti di Alba e il Centro per l’impiego.
Il progetto ha il patrocinio del Comune di Alba ed è sostenuto dal consorzio di Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani. «Altre collaborazioni si stanno consolidando in queste settimane», spiega Giulia Maccagno, referente dell’intervento. «L’Accademia è nata dalle aziende, che ci hanno illustrato il forte bisogno di manodopera formata, molto difficile da reperire. Allo stesso tempo, ci siamo posti l’obiettivo di generare un impatto sociale positivo, in termini d’integrazione dei lavoratori: nel quadro attuale, questi sono esposti a situazioni di vulnerabilità, che possono sfociare in rapporti lavorativi dai contorni poco chiari e molto precari, che impediscono loro un vero inserimento».
Ed è così che il progetto si muove su più livelli: per quanto riguarda i braccianti e la loro formazione, sarà incentrata non solo sulla parte tecnica del lavoro in vigna, ma anche sull’apprendimento del linguaggio specifico e sulla consapevolezza dei propri diritti e doveri. «I moduli formativi saranno alternati al lavoro nelle aziende aderenti. I lavoratori saranno assunti direttamente dagli imprenditori vitivinicoli, con un regolare contratto, garantendo almeno 102 giornate lavorative, così da consentire alla persona di poter usufruire eventualmente della disoccupazione, qualora ce ne fosse bisogno. Ogni azienda ci ha palesato il proprio fabbisogno di addetti da inserire e sono stati gli stessi imprenditori a incontrare i candidati».
Il progetto sarà pronto a settembre, per la vendemmia. La durata prevista è di circa un anno, fino ad agosto 2023. «A livello numerico, pensiamo a un gruppo di dieci lavoratori, che stiamo reclutando. Abbiamo selezionato persone presenti sul territorio e che vorrebbero rimanerci, specie se potranno contare su una situazione lavorativa stabile. Un altro aspetto importante è che l’Accademia è aperta anche a italiani, se intenzionati a intraprendere un percorso nel campo della viticoltura».
Le aziende, oltre al vantaggio di avere un bacino di manodopera qualificata da assumere, potranno anche accedere al marchio “100% etico” rilasciato da Humus job e registrato dal Ministero dello sviluppo economico: «Visto che l’obiettivo è sviluppare buone pratiche, verrà valorizzata la scelta», conclude Maccagno.
Francesca Pinaffo