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Arte, ultima forma di libertà: Beppe D’Onghia ospite di Profondo umano

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Beppe D'onghia

L’INTERVISTA Il festival Profondo umano, col sottotitolo Abitare poeticamente il mondo, prosegue i suoi incontri dedicati all’interiore e alla spiritualità umana. Prossimo appuntamento venerdì 23 settembre alle 21 nel teatro Giorgio Busca, con il titolo Quando la musica è poesia. La parte recitata è a cura dell’attore albese Paolo Tibaldi, mentre la parte video è stata affidata a Serena Zaniboni. La parte musicale è del maestro Beppe d’Onghia, direttore d’orchestra e compositore italiano celebre per aver collaborato con moltissimi artisti italiani, tra cui Samuele Bersani e Lucio Dalla. In passato ha collaborato con Intonando, con un memorabile concerto in San Domenico nel 2013 dedicato al cantautore bolognese.

Per informazioni aggiuntive sul programma o sui biglietti è possibile visitare il sito www.profondoumano.it. Le prevendite sono acquistabili nelle librerie albesi Milton, San Paolo e nella cooperativa libraria La Torre.

Durante la serata albese del 23, metterete in scena un “esperimento” artistico. Di che cosa si tratta?

«Riprodurrò i suoni del grande Lucio Dalla, mentre l’attore Paolo Tibaldi interpreterà i testi delle canzoni e le illustrazioni di Serena Zaniboni accompagneranno l’opera. Le sensibilità di ognuno si incontreranno in un unico linguaggio. Per quanto riguarda Lucio Dalla, penso che il cantante e autore fosse abitato dall’arte e dalla poesia, non ne era soltanto l’interprete. Proveremo a dare forma a questa grandezza attraverso la coniugazione della musica, della recitazione e dell’illustrazione. Si tratta di un’iniziativa inedita. Come tutte le cose che non conosco, mi stimola e la definirei in sintesi come un ulteriore passo evolutivo nel mio personale concetto di “evocation”».

A cosa si riferisce?

«Col termine mi riferisco all’atto del mettersi a nudo verso la realtà e verso sé stessi, abbandonando le maschere e le sovrastrutture. Si tratta di un movimento in contrasto con alcuni aspetti della contemporaneità, che sovente “imbriglia” in perimetri predefiniti e in identità rigide. Quindi l’atto di “mettersi a nudo” coesiste col desiderio di rompere l’obbligo di apparire, riconsegnando ai pensieri una forma primaria lontana da appartenenze, finzioni, guerre. Mi riferisco a una condizione costituita da introspezione, intuito e onestà, elementi che ci rendono più vicini all’arte».

Che cos’è per lei l’arte, se dovesse definirla in poche parole?

«Potrebbe essere considerata come l’ultima forma concreta di libertà. Inoltre vedo un’analogia tra arte e vita. Sono cresciuto al fianco di importanti personalità creative e ho potuto conoscere da vicino il conflitto profondo, di cui si facevano portatori, tra la biografia individuale e il processo artistico. Penso inoltre che talvolta l’arte utilizzi l’essere umano per comunicare e rendersi “afferrabile”, prendibile e conoscibile da altri esseri umani. Quando tutto questo avviene, allora si entra in una speciale condizione di bellezza». 

Matteo Viberti

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