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Chiarire le responsabilità nell’Unione Europea

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo 1

BRUXELLES Sapere chi è responsabile di che cosa è una condizione indispensabile per l’esercizio della democrazia. Ma, come molte delle regole che reggono la democrazia, anche questa è spesso calpestata, tanto a livello nazionale che europeo. Vi siamo confrontati in questi giorni e continueremo a viverlo nei giorni che verranno.

Tralasciamo la ricorrente abitudine nostrana di addossare responsabilità al governo uscente da parte di quello in formazione, come abbiamo potuto constatare a proposito delle accuse rivolte a Draghi sullo stato di avanzamento del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), accuse rimandate prontamente al mittente, che ha preferito non replicare, almeno in questa fase di transizione politica: poi si vedrà.

Concentriamoci sugli esercizi di “scaricabarile” che non mancano neanche nella politica europea. Nei giorni scorsi ha attirato l’attenzione la critica severa, resa insolitamente pubblica, rivolta da Mario Draghi alla Commissione europea, nella persona della sua presidente, Ursula von der Leyen, additata come responsabile dei ritardi nel promuovere interventi urgenti sul fronte caldo della crisi energetica.

Siamo davanti al classico caso del bue che dice cornuto all’asino, a significare che entrambi hanno specifiche responsabilità: la Commissione per aver mancato di coraggio nell’avanzare proposte in favore di politiche energetiche in nome della solidarietà europea, Mario Draghi per non essere riuscito, con i suoi colleghi Capi di Stato e di governo, ad approdare a una decisione comunitaria.
A ben vedere la situazione è un tantino più complicata e chiama in causa l’assetto istituzionale dell’Unione, con un Parlamento tenuto in questo caso fuori da questo processo decisionale, la Commissione per i suoi eccessi di cautela nell’assumere iniziative, come le è imposto dai trattati, e il Consiglio Ue dei governi membri di avere giocato col fuoco, in difesa ciascuno di interessi nazionali immediati, un esercizio nel quale si sono particolarmente distinti Germania e Olanda.

Di qui una non troppo velata accusa della tedesca Von der Leyen per presunti atteggiamenti troppo morbidi nei confronti del connazionale cancelliere Scholz, cui si sono aggiunte in seno alla Commissione fratture, anche queste rese insolitamente pubbliche, da parte di due importanti Commissari, il francese Thierry Breton e l’italiano Paolo Gentiloni, che hanno rotto gli indugi proponendo un piano di sostegno comunitario straordinario per fare fronte alla crisi.

Una proposta che invocava il precedente del Piano di ripresa europea, il Next generaion Ue, alimentato da un debito comune, all’origine del generoso Pnrr italiano, dotato di circa 200 miliardi di euro.

Non poteva sfuggire a nessuno che la proposta franco-italiana, respinta al mittente dalla presidente della Commissione, fosse percepita come un invito alla Germania di riaprire i cordoni della borsa, non solo con i 200 miliardi di euro del bilancio tedesco destinati a sostenere l’economia nazionale, ma facendo convergere risorse importanti da parte di tutti i Paesi membri per un piano condiviso di lotta alla crisi energetica, come avvenuto per la risposta al Covid.

Sarebbe complicato e noioso descrivere l’origine di queste tensioni nell’impianto istituzionale Ue: semplifichiamo dicendo che “il difetto è nel manico”, prima ancora che nelle persone. In assenza di un assetto comunitario trasparente circa le responsabilità dei diversi soggetti e in presenza di una crescente deriva intergovernativa da parte dei Paesi membri – e l’Italia non fa eccezione, anzi per il futuro sembra trasformarsi in regola – diventa difficile l’esercizio essenziale della democrazia, identificando chi è responsabile di che cosa.

Come dire che è ora di chiarire chi vuole andare avanti verso una condivisa sovranità europea, con istituzioni legittimate dal voto popolare per ciascun ruolo, o chi preferisce tornare indietro a nazionalismi che all’Europa non hanno mai portato bene.

Franco Chittolina

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