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Il mutare delle cose nel Bene vegetale di Demetrio Paolin

Il mutare delle cose nel Bene vegetale di Demetrio Paolin 1

POESIA Imparare dalla natura che anche ciò che in prima battuta può sembrare negativo è in realtà il segno di un continuo mutare, che può portare ciclicamente anche a frutti positivi. È questo il senso del titolo Il bene vegetale della prima raccolta di poesie di Demetrio Paolin, scrittore torinese nato a Canelli, già finalista al premio Strega nel 2016 con il romanzo Conforme alla gloria (Voland). Il libro, pubblicato a luglio dall’editore Blonk, testimonia il tentativo di passare dalla prosa alla poesia, due modi diversi di comunicare: «Quando scrivi versi compi un atto di concentrazione, cerchi di rendere l’immagine più vivida possibile, mentre con la prosa ti allarghi in tanti rivoli, è un processo di espansione», racconta l’autore.

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Demetrio Paolin

L’esperimento nasce dalla proposta dell’editore di partecipare alla collana Fuori menù per la quale Paolin ha selezionato alcuni dei componimenti scritti negli ultimi nove anni che pensava di aver perduto, come si legge nella Nota ai testi: «Nel mio pc, sul desktop, c’è un file che ho volutamente lasciato Senza nome […] ha la sua regola di base, ovvero può essere composto da un’unica poesia». I testi cancellati, ma caricati su siti, blog e social sono stati recuperati grazie ad amici dello scrittore e montati in modo da formare un percorso poetico di 27 poesie, quasi a simboleggiare il triplo del numero della Trinità.

La volontà, che sembra trasparire dai versi, è quella di una poesia che si muove tra i limiti dell’esperienza umana, tra i quali la morte, come si legge in VII («Accadrà che io muoia/ che diventi cibo/ per le radici degli alberi») o in XIV («Mi divertiva da piccolo/ vedere le mosche morire/ nel bicchiere/ lucido»). La fine terrena, pur essendo qualcosa che «c’è e turba», spiega l’autore, «è un passaggio obbligato, di cui puoi avere solo esperienza linguistica, sentirla raccontare». Un’altra soglia è rappresentata dalla percezione, che è sia la condizione necessaria al poeta per scrivere, sia quella esistenziale degli esseri umani, come spiega la poesia Elegia#3: «il nostro essere percepiti / è ragione del percepire/ è il “noi siamo”». I nostri sensi danno significato alle cose, le fondano: «Quando devi descrivere qualcosa vai a tentoni, quindi essere percepiti dice che siamo qui: è un altro confine che ci dice qualcosa sul mondo, un inizio delle cose».

Il mutare delle cose nel Bene vegetale di Demetrio Paolin
Il bene vegetale edito da Blonk

In realtà, i testi invitano a guardare questi aspetti liminali dell’esistenza con una saggezza derivante dall’osservazione della natura, profilando una resurrezione dalla morte: «Bisogna guardare al ciclo della vita in modo più sapienziale. Quasi tutte le poesie hanno un’ispirazione da campagna, che invitano a guardare alla saggezza che la natura ci offre. Qui c’è molto di Pavese, non solo dalle poesie ma anche dai Dialoghi con leucò, uno dei miei libri preferiti».

Lo scrittore piemontese è solo una delle tante fonti poetiche rintracciabili in Paolin, che ha dichiarato di essersi ispirato ad Amelia Rosselli, a Vittorio Sereni e a Guido Cavalcanti e gli stilnovisti (questi ultimini soprattutto per la coerenza numerica nella struttura della raccolta). Anche dalla pittura arrivano influenze ai versi del torinese, che dice di aver scritto i testi facendo un po’ come le cancellature dell’artista Emilio Isgrò: «Potevano essere 27 capitoli di un romanzo d’amore che però è stato sfrondato alle parole necessarie e ridotto a brandelli di una storia».

Lorenzo Germano

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