PENSIERO PER DOMENICA – XXXII TEMPO ORDINARIO – 6 NOVEMBRE
Fin dall’antichità più remota, gli uomini si sono posti il problema di un’esistenza dopo la morte: non a caso le testimonianze più antiche di vita umana sono tombe. Paradossalmente la fede in una vita dopo la morte è arrivata tardi in Israele: ci sono arrivati prima gli Egizi con le piramidi e i Greci, con Pitagora e Platone. La discussione, iniziata al tempo dei Maccabei (2Mac 7,1-14) era ancora molto viva ai tempi di Gesù. I due maggiori partiti religiosi del tempo, i Farisei e i Sadducei avevano posizioni antitetiche: i primi credevano nella risurrezione dell’anima, i secondi no. Come ci documenta il Vangelo (Lc 20,17-38), saranno proprio i Sadducei a coinvolgere Gesù nella disputa.
In sintonia con la festa dei Santi. Trattando il tema dell’aldilà, oggi fuori moda, siamo in sintonia con lo spirito del mese di novembre inaugurato dalla festa di Ognissanti e dal ricordo dei defunti. Il silenzio attuale sulla vita dopo la morte è in parte la naturale reazione a un passato in cui di questo tema si parlava troppo. Parlarne non è fare leva sulla paura, ma alimentare impegno e speranza.
La fede nella risurrezione non produce alienazione. Non mette in secondo piano gli impegni che abbiamo su questa terra, perché la vita eterna è il compimento di tutto il bene che abbiamo fatto quaggiù. Lungi dal distogliere dall’impegno nella storia, la fede nella risurrezione è la forza dei martiri. «Oggi, in molte parti del mondo, ci sono martiri: uomini e donne che sono imprigionati, uccisi per il solo motivo di essere cristiani. E sono in numero maggiore che nei primi secoli della Chiesa»: lo ha ricordato più volte papa Francesco.
Attenzione al tranello dei Sadducei. Gesù, anche se provocato, rifiuta di entrare nel gioco delle descrizioni più o meno fantasiose dell’aldilà, tipiche sia degli Egizi che dei Greci. Gesù non ci ha spiegato nei dettagli come sarà la vita futura. Le sue parole sono tanto sobrie quanto rassicuranti: il destino dei giusti sarà una vita nuova, piena, in una comunione con Dio senza termine e senza limiti, perché «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Gesù cita le parole con cui Dio stesso si rivela a Mosè nel deserto, inviandolo a liberare il suo popolo dalla schiavitù). L’eternità dunque sarà un amore senza limiti, una relazione finalmente piena e libera con Dio. È sufficiente questo per fondare la speranza. Il resto è libera – anche se legittima – fantasia.
Lidia e Battista Galvagno