Gesù non ha spiegato il male ma l’ha combattuto

PENSIERO PER DOMENICA – QUARTA DI QUARESIMA – 19 MARZO

In questa domenica, reso il debito omaggio ai papà, nella festa di san Giuseppe, merita fermarsi solo sul Vangelo (Gv 9,1-41). È un racconto molto lungo, una sorta di parabola in azione, un racconto animato, che da un lato tratteggia il carattere di Gesù, “luce del mondo”, dall’altro sottolinea la fede del malato guarito e la malafede dei farisei.

Gesù non ha spiegato il male ma l’ha combattuto
La guarigione del cieco nato, particolare di un sarcofago, arte paleocristiana del III secolo, Museo nazionale di Roma.

Il male, mistero irrisolto. Di fronte al cieco, Gesù viene interpellato dai discepoli con una domanda tipica dell’epoca: «Chi ha peccato: lui o i genitori?». Una malattia congenita in un bambino è sempre un dramma. In un contesto religioso che considerava la malattia un castigo di Dio per qualche colpa commessa (Salmo 38,1-3), l’unica soluzione era la tesi secondo cui «le colpe dei padri e delle madri ricadono sui figli». Contro questa credenza si erano mossi oltre 500 anni prima, alcuni profeti come Geremia (31,29-30) ed Ezechiele (18,2). La domanda che i discepoli pongono a Gesù evidenzia come certe convinzioni siano difficili da sradicare. Gesù, dopo aver preso le distanze dalla tesi antica – «Né lui, né i suoi genitori!» – non va oltre. Ci sono domande a cui Gesù non ha risposto: quella sull’origine del male è una. Il male rimane un mistero irrisolto: Gesù non l’ha spiegato; l’ha combattuto e vinto.

Non è facile credere, nemmeno in presenza di un miracolo. Ecco la perplessità di quanti conoscevano il cieco, fino all’ipotesi che il guarito sia un sosia o addirittura che si trattasse di un falso invalido, come quelli che ogni tanto vengono scoperti anche oggi: “ciechi” alla guida di auto! Il miracolato gioisce e basta: non gli servono tante spiegazioni. In lui c’è la fede gioiosa dei semplici. Opposto l’atteggiamento delle autorità farisaiche che instaurano un vero e proprio processo-trappola, con due interrogatori dell’ex cieco, inframmezzati dall’interrogatorio dei suoi genitori. Essi ripropongono la tesi popolare secondo cui Dio concede favori ai giusti, come ricompensa delle loro buone azioni, dimenticando la tesi, qui riproposta da Gesù: la salvezza è un dono gratuito di Dio.

La fede vera non è credere nei miracoli, ma in Gesù. La fede nasce dalla Parola – «colui che parla con te è proprio lui» – è una relazione d’amore personale. Può nascere anche da una lettura non preconcetta dei fatti. Questo fa sì che a volte, come nel Vangelo, la situazione si ribalti: coloro che avevano cacciato dalla sinagoga il cieco sono accusati di cecità, mentre il cieco guarito accede alla fede. Le relazioni interpersonali sono lo spazio della libertà.

Lidia e Battista Galvagno

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