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Sarà di nuovo Vinitaly, ma non più per tutti

Bello Vinitaly, ma caro e troppo Venetocentrico

ENOLOGIA Con l’arrivo della primavera, si avvicina la nuova edizione – la numero 55 – di Vinitaly, la fiera in programma a Verona dal 2 al 5 aprile. Per molte aziende il Vinitaly è un evento atteso, anche programmato con cura. Ma da qualche tempo non è più così per tutti. Sono sempre di più le aziende che decidono di rinunciare a questa fiera, orientando l’investimento che Vinitaly richiede verso altri canali di promozione. La tendenza si è materializzata soprattutto nel postpandemia.

Il biennio di forzata rinuncia agli assembramenti (e le fiere sono tali per definizione) hanno costretto i produttori a ripensare alle loro strategie di mercato e così molti hanno capito che potevano anche fare a meno del Vinitaly.

La fiera, uno strumento un po’ maturo. Nessuno può negare che le fiere nel passato siano state molto utili per valorizzare il vino italiano. A lungo e per tante aziende, Vinitaly è stata l’unica occasione di uscita e confronto con il mercato. Altre rassegne hanno dato il loro contributo, ma oggi non esistono più. Il pensiero corre per esempio al Bibe di Genova, che da tempo ha chiuso i battenti. Eppure, quando se ne parla con chi la frequentò negli anni tra i Settanta e gli Ottanta, si capisce che allora era un momento commerciale di grande interesse.

Matteo Ascheri
Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani.

Il tempo però non è trascorso invano: le aziende hanno razionalizzato le loro strategie di promozione e capito che potevano contare su altri strumenti per dialogare con l’esterno. Forse, come dice Matteo Ascheri, presidente del consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, «non è il vino che ha bisogno delle fiere, ma sono le fiere che hanno bisogno del vino».

Vinitaly recidivo. Lo stesso Vinitaly ha fatto di tutto per dissuadere i produttori dal tornarci. È superfluo ripetere cose che tutti conoscono: il costo di partecipazione ogni anno maggiore; la città che dialoga con difficoltà con l’evento e i suoi protagonisti; i costi collaterali (alberghi, ristoranti, ecc.) sempre più onerosi. Tutto rappresenta da anni un problema: le code in arrivo e uscita, i parcheggi scomodi e cari, i servizi inappropriati, le condizioni espositive spesso inadeguate alla degustazione dei vini. Non parliamo, poi, delle deprecabili scene di gente alticcia nei padiglioni e nei tratti verso le uscite. Tutte situazioni che fanno male a un mondo del vino che vuole mostrare il suo volto professionale. E, poi, a contrasto, c’è la fiera delle vanità: stand sfarzosi all’inverosimile, quando dovrebbero essere il vino e la sua piacevolezza a parlare al visitatore.

Dopo 44 anni. Lo stesso Ascheri, che è anche produttore di lungo corso a Bra, è chiaro nei suoi ragionamenti: «Dopo 44 anni di partecipazione ininterrotta, quest’anno la mia azienda ha deciso di non tornarci. E sono molte le aziende che hanno preso la stessa decisione. Sia chiaro, non per risparmiare, ma perché hanno capito che si possono cogliere le medesime opportunità usando altri canali di promozione. La stessa Grandi Langhe, che il consorzio Barolo e Barbaresco insieme al Roero hanno promosso e organizzato, ha dimostrato di essere un efficace strumento di promozione, che ogni azienda può adattare alle proprie esigenze e opportunità».

La conclusione secondo Ascheri è che «le denominazioni sono proprietà collettive e, perciò, i produttori cominciano a capire che la promozione individuale merita di sincronizzarsi con progetti collegiali per trovare insieme nuove idee di promozione. Non già per intasare una strada già molto affollata dalle iniziative di tante realtà istituzionali e aziendali, ma per scegliere le soluzioni più efficaci in rapporto alle opportunità di dialogo che l’attualità mette a disposizione».

 Giancarlo Montaldo

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