Festa della mamma: minori retribuzioni e possibilità, la condizione delle donne

Minori retribuzioni e possibilità lavorative, la condizione delle donne

FESTA DELLA MAMMA Nel giorno in cui si celebra la festa della mamma, riprendiamo un servizio apparso sulle pagine di Gazzetta poche settimane fa per conoscere meglio la condizione femminile nel nostro territorio piemontese, rinnovando gli auguri della redazione.

La storia di Rebecca

«Mi chiamo Rebecca e sono una donna fortunata. Mi piace iniziare così la mia presentazione. Perché so di essere nata in un’epoca in cui la componente femminile ha molte più opportunità rispetto al passato. Eppure, sovente mi sono ritrovata a vivere situazioni scomode e in cui gli uomini mi hanno fatto sentire inferiore. Anche nel lavoro sento di non avere ancora guadagnato la posizione che mi merito per il semplice fatto di essere donna». Rebecca ha 37 anni, è madre di una figlia e vive con il marito nella zona di Sommariva Perno.

«Prima stavo a Torino, ma abbiamo scelto la campagna per crescere mia figlia. Ho studiato all’Università come architetto. Oggi lavoro come consulente in uno studio del territorio e talvolta mi dedico all’attività associazionistica per la solidarietà. Grazie alla maturità raggiunta dal punto di vista emotivo, quando mi guardo indietro scopro che la mia vita è costellata di piccoli episodi che reputavo innocui e solitamente interpretavamo, con gli amici, con una certa ironia oppure come il segnale della mia incompetenza o scarsa esperienza».

Poi precisa: «Oggi invece mi accorgo della gravità di questi aneddoti. Ricordo ad esempio di come all’università ridevamo perché le compagne che si vestivano scollate prendessero voti più alti; di come per ben due volte non venni assunta in un lavoro perché il datore temeva, visto che ero fidanzata e convivevo da alcuni anni, che potessi andare in maternità e “lasciarli scoperti”; di come i miei compagni uomini guadagnassero in media più di me, non perché fossero più bravi ma perché le persone tendono ad affidarsi, nel campo dell’architettura, più a un uomo che a una donna; di come in molte riunioni la mia voce sia risuonata più flebile, sia stata sovrastata da quella dei colleghi maschi: era come se la mia voce fosse meno “credibile”.

Aggiunge: «Ricordo sul lavoro molte battute sarcastiche sulle donne alla guida, sulle donne preda degli sbalzi ormonali e molto altro. Per tempo mi sono auto-accusata, pensavo di essere io quella sbagliata, quella indecisa e insicura, non sufficientemente solida. Invece ho capito che su di me stavano operando pregiudizi sociali dall’enorme influenza».

Quando Rebecca ha compreso il mondo in cui si trovava a vivere, è diventata più sicura di se stessa. «Qualche anno fa aprii un piccolo progetto, insieme a due colleghe, dedicato alla salute della comunità. Volevo aiutare i deboli. Lavoravamo con persone sole. La maggioranza erano donne. Nei loro occhi ho visto l’esclusione, la solitudine. Oggi non faccio più parte del gruppo di lavoro, ma quell’esperienza mi ha aiutato a capire che nel loro sguardo c’era anche il mio. Stando con loro, mi prendevo cura di me e mi riparavo dalla tempesta».

La storia di Rebecca racconta di come i processi sociali vengano incorporati dalle persone, diventino idee e rappresentazioni che strutturano le identità. La differenza di genere che scorre nelle relazioni sociali non si manifesta in modo palese, ma sottoforma di immagini e idee auto-svalutanti, autocritica, scarsa autostima. Scoprire la derivazione sociale di questi sentimenti può aiutare a sentirsi meno “difettosi” e a riscoprire il proprio valore.

La ricerca di Ires Piemonte

Festa della mamma: minori retribuzioni e possibilità, la condizione delle donne
Daniela Musto, Ires Piemonte

È quanto tenta di fare una ricerca pubblicata a fine dicembre da Ires Piemonte dal titolo “Differenze di genere tra studio e lavoro”. L’analisi mostra come ancora oggi, nella nostra Regione, sussistano importanti processi di segregazione di genere – che, seppur in forma non manifesta, rendono la vita delle donne più difficile rispetto alla controparte maschile. Il divario negativo si manifesta innanzitutto nella formazione. Le donne meno frequentemente sono presenti in corsi universitari che afferiscono alle discipline delle scienze, tecnologia, ingegneria e matematica: sul totale dei laureati, queste aree accolgono il 29,5% delle donne contro il 57% degli uomini.

Inoltre, spiega la ricercatrice Daniela Musto, «le donne in generale si spostano per motivi di studio meno degli uomini: il dato più recente sui laureati nel 2021 mostra come a migrare sia il 37% dei laureati uomini e il 30% delle donne, dato che viene confermato anche da precedenti indagini. Questa differenza si riflette anche nella mobilità per lavoro, cosicché, una volta conseguita la laurea, sono più gli uomini a lavorare fuori dal Piemonte: dopo cinque anni dal conseguimento della laurea lavora in una regione diversa il 30% degli uomini e il 25% delle donne».

La maggiore sedentarietà non è soltanto legata al ruolo di “accudimento” dei figli (che richiede una maggiore presenza femminile soprattutto nelle prime fasi dopo la nascita), perché queste percentuali riguardano anche chi non è madre. Si tratta di una vera e propria differenza di genere, che vede legittimare alcuni comportamenti in misura maggiore rispetto ad altri a seconda del sesso di appartenenza. A dimostrazione di ciò, le laureate si dichiarano maggiormente intenzionate a ricercare sicurezza del posto di lavoro, con +5 punti percentuale rispetto agli uomini – che invece risultano particolarmente interessati a opportunità all’estero.

Un’altra difficoltà delle donne piemontesi si verifica nella congiuntura tra la fine degli studi e l’inizio del lavoro. Dopo un anno dal conseguimento del titolo, gli uomini risultano occupati nel 72% dei casi e le donne nel 63%. Sebbene dopo cinque anni dalla laurea il divario di genere nella quota di occupati sembri azzerarsi raggiungendo un valore dell’88% per entrambi in presenza di uno o più figli, le donne risultano nuovamente penalizzate e la forbice sul tasso di occupazione si amplia, portando gli uomini ad una quota di occupati pari al 94% e le donne all’84%, con una distanza di 10 punti.

Minori possibilità lavorative

In termini retributivi si ripete la discrepanza. I ricercatori Ires spiegano che «a un anno dalla laurea gli uomini percepiscono, in media, circa il 12% in più: i laureati magistrali guadagnano 1.543 euro netti mensili e le laureate 1.378 euro. A cinque anni dalla laurea la retribuzione aumenta per entrambi i gruppi ma quella delle donne rimane sempre inferiore: il guadagno mensile netto per gli uomini è pari a 1.875 euro, il 16% in più dei 1.620 euro netti percepiti dalle donne. Peraltro, le differenze permangono sia a parità di laurea (il vantaggio retributivo degli uomini si conferma in tutti i gruppi) sia a parità di settore di attività pubblico o privato: in particolare nel settore privato la differenza retributiva arriva a sfiorare i 300 euro netti mensili».

Questa difficoltà di collocazione nell’ordine lavorativo e nel percorso di studi si associa a una dinamica di vulnerabilità “psicologica” e fisica. Un’altra ricercatrice di Ires, Giovanna Perino, a fine novembre spiegava che «in Italia i dati Istat evidenziano come il 31,5 % delle donne abbia subito nel corso della propria vita qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi sono esercitate da partners o ex partners, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner».

Il Piemonte si colloca al primo posto della classifica nazionale per quanto riguarda gli accessi al Pronto soccorso delle donne con diagnosi di violenza (17 ogni 10mila accessi). Molte di queste violenze avvengono sul lavoro. Come racconta la storia di Rebecca, le violenze possono essere macroscopiche (catcalling, aggressioni verbali o psicologiche o fisiche) oppure sottili, invisibili a un primo sguardo. Possono manifestarsi sottoforma di ironia insistente, svalutazioni minime, esclusioni silenziose da alcuni privilegi o da anche solo conversazioni importanti, da opportunità professionali.

L’immagine della donna subisce ancora molti danneggiamenti da una cultura poco disposta alla parità, e combattere per una maggiore uguaglianza è un compito collettivo prioritario se vogliamo sperare in una società più accogliente.

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Roberto Aria

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