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Abitare il piemontese: la parola di oggi è Quaranteut

Numero cardinale 48; tafferuglio, caos, confusione, parapiglia, disordine, subbuglio, rivolta con riferimento ai moti rivoluzionari del 1848.

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ABITARE IL PIEMONTESE Avete mai sentito l’espressione pianté su ën quaranteut? E mandé a carte e quaranteut? Sono modi di dire utilizzati anche in lingua italiana, ma il Piemonte è toccato nel vivo. Il numero 48 non è casuale e, se a livello onomatopeico è uno dei più esplosivi, gli episodi di riferimento non sono da meno: si tratta del 1848. In quell’anno l’Europa venne sconvolta da una serie di moti rivoluzionari che cambiarono il corso della storia, debellando definitivamente il concetto di Restaurazione e portando all’inesorabile crollo delle monarchie assolute. Le rivoluzioni scoppiate ovunque determinarono situazioni conflittuali con ripercussioni che durarono negli anni successivi.

Per il Risorgimento italiano il 1848 fu l’anno dei portenti: la Sicilia s’incendiò per prima, seguì una rivoluzione a Napoli, Leopoldo II in Toscana concesse la Costituzione. L’esempio fu seguito da re Carlo Alberto di Savoia, che il 4 marzo firmò lo Statuto albertino del regno di Sardegna (in vigore fino all’attuale Costituzione italiana) e da Papa Pio IX che promulgò una costituzione per lo stato pontificio. In tutto il Lombardo-Veneto, sotto l’impero asburgico, scoppiarono numerose rivolte come le celebri Cinque giornate di Milano e la proclamazione della Repubblica di San Marco a Venezia, che diedero la spinta per l’inizio della prima guerra d’indipendenza, dall’esito sfavorevole per gli obiettivi sabaudi.

Di quel blocco di avvenimenti è rimasta l’idea in senso figurato di subbuglio, agitazione, tumulto. Ancora oggi, quando ci troviamo davanti a casi analoghi, viene spontaneo richiamare il 1848. Mandé a carte e quaranteut fa riferimento alle carte, i documenti messi in disordine dai rivoluzionari. Il concetto è legato alla confusione, al mandare all’aria interrompendo qualcosa. Questo modo di dire sopravvissuto fino a oggi è un chiaro esempio di quanto lingua, società e storia siano un trinomio inseparabile.

Paolo Tibaldi

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