La scomparsa del filosofo Vattimo: pochi sanno che amava moltissimo la Langa e la sua gente

La scomparsa del filosofo Vattimo: pochi sanno che amava moltissimo la Langa e la sua gente
Vattimo davanti al Sociale di Alba, dove aveva tenuto una conferenza.

LETTERA AL GIORNALE Martedì 19 settembre si è spento il filosofo Gianni Vattimo, studioso torinese e uno dei più alti interpreti del pensiero europeo del secolo. Conosciuto in tutto il mondo, in ogni Paese aveva portato come pensatore la scienza, e ne aveva diffuso il sapere, anche attraverso la politica (era stato europarlamentare). Ogni Paese ne conosceva e ne conosce le analisi raffinate e rigorose e ne custodisce l’illuminante ricchezza (l’intero suo archivio sarà custodito dall’Università Pompeu Fabra di Barcellona).

Aveva elaborato una teoria, “il pensiero debole”, che divenne la chiave di lettura del pensiero e del secolo, dell’età postmoderna. Colpiva di lui l’illuminante chiarezza. Aveva il dono di rendere chiaro qualsiasi concetto, qualsiasi teoria, se ci si lasciava prendere per mano e accompagnare nel ragionamento. Vattimo spiegava, e tutti capivano. Era un oratore, limpido, rigoroso e raffinato dentro e fuori dalle aule dell’università.

Vattimo, pochi lo sanno forse, amava le Langhe. Queste colline pareva gli parlassero, tanta era l’attenzione che le dedicava. Ora loro parlano di lui rilasciandone i ricordi.

Saliva in Langa affascinato dalla semplicità della sua gente, di cui comprendeva la profondità. Era piacevole accompagnarlo; sapeva scorgere la preziosità non elaborata della ricchezza della gente. Era affascinato dalle cose, come le più alte menti lo sono. Lui che si era laureato con una tesi sul concetto di “fare” in Aristotele. Lui che sfidava i dogmi.

Gli angoli incantevoli di questa terra lo ospitavano per le riflessioni più alte come per i pranzi per celebrare i momenti più solenni. L’ironia era il suo metodo; la leggerezza l’antidoto per rimettere al loro posto le complessità. Era il maestro per eccellenza, quello verso cui tutti i giovani studenti, laureandi e futuri colleghi hanno guardato e guardavano con ammirazione, con silenziosa venerazione, e con simpatia. Sdoganava l’aura del suo genio, con ironia e umorismo.

La telefonata che papa Francesco gli inoltrò, rinnovò in lui il senso della sua appartenenza alla Chiesa. «Il fatto che abbia trovato il tempo di chiamarmi ha un grande significato, sono commosso ed emozionato da questo, cosa posso fare… Il Papa è pur sempre il Papa e, poiché sono un credente e credo soprattutto nella Chiesa, è chiaro che aver parlato con lui mi ha profondamente colpito».

Quando usciva e lasciava le aule dell’università, i palazzi solenni di Torino, trascinava con sé la scia di quelle giovani menti che di lì a poco lo avrebbero portato con sé nel mondo contribuendo a diffonderne il pensiero. Quando partii per recarmi in Francia, all’Università di Parigi prima e a Strasburgo poi, con la genuinità delle competenze di una giovane allieva laureata, in quelle aule enormi dell’Università e del Parlamento lo ritrovai.

Ritrovai oltre che la presenza, lo spirito dei suoi insegnamenti. Incontrai la bellezza di condividere ciò che l’altezza di un ingegno straordinario mi aveva regalato. Verso quella strada mi avevi guidato tu, mi aveva condotto la tua generosità nel condividere le scoperte scientifiche. Ciao Gianni!

Ivana Borsa

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