
ABITARE IL PIEMONTESE È durante una donazione di sangue che ci è venuta in mente questa parola. Una persona, appena terminato il prelievo e alzatasi in piedi, si è mostrata in tutto il pallore del suo volto: probabilmente anche noi eravamo nella sua stessa condizione, ma non c’erano specchi per constatarlo. Ci è venuto da esclamare: Oh s’ët sei spali! (Oh come sei pallido).
A seconda della zone, c’è chi lo pronuncia spaȓi, ispali o, invertendo le ultime due lettere, spaiȓ. Tra le varianti c’è anche spalid, che risente del flusso italiano. La parola proviene dal latino ex+pallidum, derivata da pallere (essere pallido). Lo spalior o spalidor è il pallore, la pallidezza. Si tratta di una condizione fisica che prevede lo sbiancamento del colorito di un individuo in rapporto con una condizione sfavorevole: spavento, rabbia, il venir meno delle forze, la fame o una perdita eccessiva di sangue.
La civiltà piemontese ha pensato di coniare modi di dire che si avvalgono di similitudini: esse spali pai d’ën suvaman o pai d’ën linseu (essere pallido come un asciugamano o un lenzuolo) oppure pai d’ën pèt, quest’ultimo può indicare tanto la flatulenza (invisibile, ma sensorialmente spaventosa e impallidente), quanto un petto inteso come torace perché meno abbronzato del volto. Esse spali paid ën panaté sot eva significa letteralmente essere pallido come un panettiere sott’acqua: il fornaio, lavorando la notte, di giorno riposa e sono rare le occasioni in cui si espone al sole. Ecco spiegato il motivo del suo pallore. Inoltre, il contatto con la farina accresce la percezione del suo chiarore fisico. L’aggravante sot eva è probabilmente dovuta al fatto che in acqua la pelle schiarisce, figuriamoci quando è già chiara.
Una poesia struggente dedicata ai morti in guerra di Nino Costa, intitolata Coi che marcio ‘n prima fila (quelli che marciano in prima fila), recita: L’han na fiera facia spalia, j’euj distant, lusent e fiss (Hanno una fiera faccia pallida, occhi distanti, lucenti e fissi). Una pagina purtroppo attuale che vale la pena leggere!
Paolo Tibaldi
