IL RICONOSCIMENTO Frontiere di vita è il tema del premio Ghislieri 2024, assegnato ogni anno dall’associazione Alunni del collegio di merito pavese. Il riconoscimento verrà assegnato il 3 ottobre prossimo a due ex studenti che, a decenni di distanza, hanno operato per la tutela della salute, con progressi su vasta scala: Mario Viganò, tramite una pionieristica attività nel campo della cardiochirurgia, e Nicolò Binello, attraverso l’impegno diretto in alcune delle nazioni più svantaggiate.
Quest’ultimo, 36 anni, originario di Alba, è medico specialista di medicina interna. Funzionario delle Nazioni Unite, dall’ottobre 2021 lavora nella sede centrale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a Ginevra, dove risiede. Lo abbiamo intervistato in occasione dell’importante premio del collegio Ghislieri.
Binello, come è nata la sua vocazione internazionale?
«Si tratta di una serie di fattori che si sono consolidati durante gli anni di medicina, quindi a scelta già fatta. In quel periodo ho avuto la mia prima esperienza, sebbene di tirocinio, in un ospedale africano della Tanzania. Questo mi ha instillato la voglia di esplorare la possibilità di fare carriera nel campo della salute globale. Dopodiché mi sono trasferito, a partire dall’ultimo anno di medicina, per un anno e mezzo negli Stati Uniti, dove ho iniziato a lavorare su strategie di vaccinazione sperimentale contro l’Hiv: sono stato esposto a figure professionali a Washington e a Boston che mi hanno ispirato».
Poi come è proseguito il suo percorso?
«Con la specializzazione la mia aspirazione ha preso definitivamente piede, perché alla fine di quel periodo sono partito per la prima volta con una Ong, la Medici con l’Africa Cuamm, per lavorare coordinando un reparto di medicina all’interno di un ospedale etiope».
Di cosa si occupa a Ginevra?
«Tre anni fa l’Oms mi ha chiamato per diventare un funzionario. Il mio team si occupa di strategie di prevenzione e controllo della meningite, malattia infettiva epidemica che colpisce in particolare alcuni Paesi dell’Africa subsahariana. Di fatto, forniamo supporto attraverso varie attività, cercando di rafforzare le cliniche ospedaliere»
Ad Alba non è mai tornato?
«Ho lavorato all’ospedale Ferrero di Verduno per quattro mesi, all’inizio della pandemia, quando c’era il famoso ospedale Covid-19, che di fatto era un nosocomio vuoto con soltanto un reparto. Questo perché ero tornato in maniera burrascosa dal Sudan e a Verduno cercavano specialisti. Quindi è capitato».
Lorenzo Germano