ALBA Per gli albesi vedere Trifole. Le radici dimenticate, film scritto in coppia dal regista Gabriele Fabbro e dall’attrice protagonista Ydalie Turk, sarà come sfogliare un album di famiglia. Fin dall’inizio, girato nella stazione di Santa Vittoria e tra le vie del paesino, e poi nel corso dell’intero film, tra i filari della Langa più dolce, i boschi battuti dai trifolao, la vecchia casa gialla dove vive l’anziano nonno della protagonista, a un certo punto anche le vie storiche di Alba, la sfilata della Fiera e l’Asta del tartufo…
Ecco alcune clip del film, che vede tra i protagonisti anche il cane Birba:
La trama
Dal momento che c’entra la Film commission Torino Piemonte, le intenzioni promozionali-turistiche del film sono scoperte e come spesso succede in questi casi, le immagini che devono vendere un territorio come se fosse un prodotto sono patinate quando raccontano la campagna (con i colori dell’autunno, le linee ordinate dei filari, i mucchi di nocciole nei cortili, la consistenza molle della terra, la bellezza del lavoro contadino…) e piatte quando si entra in contesti autentici (la sequenza della Fiera in città). Se però il film mantiene una sua specificità, è grazie alla sua protagonista, Dalia (la stessa Ydalie Turk, ritratta nell’inquadratura del film), ragazza di Londra mandata dalla madre italiana (Margherita Buy, in una piccola parte) a prendersi cura del nonno Igor (Umberto Orsini), anziano trifolao colpito da demenza senile: lo sguardo della straniera trasforma inevitabilmente il paesaggio delle Langhe in cartolina («È davvero bellissimo», dice appena giunta di fronte alle colline piene di vigne) senza sapere cosa sta guardando («Bellissimo? Bellissimo? Ma qui una volta era tutto una foresta, era pieno di tartufi!», le risponde stizzito il nonno); al tempo stesso, proprio l’estraneità della ragazza, che non sa l’italiano, non ha scarpe adatte, non riconosce i tartufi e ricorda poco delle estati trascorse lì da bambina, riesce in qualche modo a redimere la campagna dai cambiamenti degli ultimi decenni (dovuti non solo al turismo, ma anche al clima e alla siccità), sostituendosi al nonno nel momento in cui questi s’ammala.
La storia di una rinascita
Quella di Dalia e di suo nonno Igor è dunque la storia di un reciproco riconoscimento e una rinascita: grazie ai tartufi – tartufi da cercare, raccogliere, pulire, odorare – lei ritrova i giorni dimenticati dell’infanzia e una parte della sua identità; lui, invece, in una sequenza finale sospesa fra sogno e realtà, rivive in quel mondo fatto di fatica e attesa, di piacere e ricerca, che proprio l’industria del turismo ha trasformato in mito, sostanzialmente cancellandolo. Il mondo celebrato da Trifole. Le radici dimenticate è dunque inesistente, pure un po’ fasullo, ma anche per questo cinematografico: è un sogno, un’idea, una Langa più da vivere che da vedere.
Roberto Manassero