
ARTE Dopo Alberto Burri e il Surrealismo, solo per citare le ultime due mostre in ordine di tempo, la grande arte torna alla fondazione Ferrero. Un appuntamento fisso, con cadenza biennale, durante il periodo della Fiera del tartufo.
Novità di quest’anno è che protagonista sarà un artista vivente: Giuseppe Penone, tra gli italiani più acclamati a livello internazionale, come attesta il premio Imperiale per la scultura in Giappone ricevuto nel 2014 o la finale al prestigioso Turner price nel 1989.
Per lui, sarà un ritorno a casa, visto il legame con la provincia di Cuneo. Nato a Garessio nel 1947, ha iniziato la sua ricerca artistica proprio dai boschi intorno al paese. La mostra, ideata da Penone stesso e da Jonas Storsve – già curatore capo del dipartimento di arte grafica del Centre Pompidou di Parigi –, è stata pensata come un viaggio attraverso l’intero arco della sua produzione, con al centro il tema dell’impronta.

A partire da Alpi Marittime, una serie di azioni realizzate nel 1968, come sperimentazioni tra corpo e natura del bosco, è stato proprio questo l’oggetto privilegiato del suo lavoro. Una ricerca che prosegue, come testimonia la serie Impronte di luce, che verranno esposte per la prima volta in Italia e che hanno dato il titolo alla mostra in programma alla fondazione albese.
Grazie a un centinaio di opere, si potranno approfondire i molti linguaggi utilizzati dall’artista, dal disegno alla fotografia, dalla modellazione all’intaglio, con l’impiego di una vasta gamma di materiali.
Il curatore Storsve presenta il progetto così: «L’impronta è un concetto essenziale nell’arte di Penone. La mostra, che lo stesso autore ha pensato appositamente per Alba, è incentrata su questo concetto: stanza dopo stanza, verrà esplorato in tutte le declinazioni sperimentate».
Ci saranno lavori entrati nei manuali di storia dell’arte – come Soffio, del 1978, che racchiude la forma del corpo dello stesso Penone – fino a serie più recenti, come Avvolgere la terra – Il colore nelle mani, terrecotte di piccole dimensioni, molto evocative, con impresse le sue impronte digitali.
Riprende il curatore: «Il percorso culminerà in una sala dedicata alle Impronte di luce, realizzate nell’ultimo biennio, che si rifanno alle proporzioni teorizzate dall’architetto Le Corbusier, ma anche al campionario di colori che quest’ultimo inventò per i propri progetti». Penone, nei suoi scritti, le descrive così: «L’impronta rivela la sezione aurea che ho nelle mani. A occhi chiusi il punto di contatto della mia pelle non ha confini. La mano che si appoggia alla superficie crea l’ombra che diventa luce quando si ritrae e appare il colore».
La mostra rimarrà aperta in fondazione dal 26 ottobre al 16 febbraio 2025. Sarà anche disponibile il catalogo, con un contributo dell’artista e saggi del curatore, di Jean-Christophe Bailly, Olivier Cinqualbre, Carlo Ossola e Francesco Guzzetti.
Una tela può diventare scultura: intervista a Francesco Guzzetti
«Due oggetti che entrano in contatto lasciano sull’altro qualcosa di sé. Così avviene quando qualcuno commette un crimine». È il famoso principio di Edmond Locard, criminologo francese che nei primi del Novecento intuì come ogni contatto lasciasse un segno indelebile sui soggetti coinvolti: un’affermazione oggi scontata, ma all’epoca rivoluzionaria.
Proprio sullo stesso tema, quello dello scambio, si è basata la ricerca di Giuseppe Penone: a sintetizzarla è appunto l’immagine dell’impronta, un filo conduttore della mostra che si terrà in fondazione Ferrero, visitabile dal prossimo 26 ottobre.
Ne abbiamo parlato con Francesco Guzzetti, ricercatore all’Università di Firenze, che è anche responsabile del coordinamento scientifico dell’esposizione.
Guzzetti, cosa troverà di fronte a sé lo spettatore?
«Ci sarà una sintesi del percorso dell’artista, che è pensata per accompagnare l’osservatore fino alle opere più recenti, che sono la vera novità della mostra. Giuseppe Penone è attivo dal 1969: saranno presenti diversi lavori storici, utili per scandire le fasi della sua produzione. Al contempo, dal momento che al centro di tutto ci sarà il tema dell’impronta, le opere saranno raggruppate in cicli precisi, che a loro volta saranno presentati in maniera piuttosto esaustiva. Non mancherà una vera sorpresa: il nucleo principale, rappresentativo della fase più recente, che Penone ha cominciato a realizzare lo scorso anno, sarà la serie Impronte di luce. Alcuni esemplari sono già stati esposti in importanti gallerie e mostre all’estero, ma in Italia sarà la prima volta in una sede istituzionale o museo, un’occasione davvero preziosa».

Che cosa rappresenta l’impronta nella carriera di Penone?
«L’impronta è legata alla natura scultorea del suo lavoro. Anche se alcune delle opere in mostra potrebbero non sembrare a prima vista sculture in senso tradizionale (per l’uso della fotografia, di tele o del disegno, per esempio), tutto in realtà è pensato dall’autore secondo dettami precisi: quelli dell’arte che, per definizione, nasce attraverso il gesto sulla materia e comunica allo spettatore sensazioni tattili. La scultura ha volumi, occupa uno spazio, ha una sua oggettività, come direbbe Penone, legata al suo misurarsi con la realtà: è il primo segno del contatto tra le cose, ma anche del corpo umano con esse. E intorno a tutto questo l’artista ha sviluppato lavori che seguono direzioni diverse, allo stesso tempo pensati per approfondire le molteplici implicazioni della conoscenza del mondo, sempre attraverso il contatto».
La natura sarà un altro dei fili conduttori?
«Certamente. Saranno presenti anche opere della serie sugli alberi, non sempre realizzate in legno, ma comunque connesse alla dimensione naturale. Mi riferisco a fusioni in bronzo di tronchi e di cortecce. In effetti, il primo terreno di confronto in cui l’artista si è mosso per mettere alla prova il senso del tatto è la natura, in un rapporto di equivalenza con l’uomo».
La carriera di Penone è iniziata sotto l’etichetta dell’arte povera: che cosa è rimasto di quel periodo?
«Il suo lavoro si è molto evoluto nel corso del tempo: la definizione appartiene a quel momento storico della fine degli anni Sessanta, in cui esordì Penone. Tra l’altro, era proprio lui il più giovane del gruppo, di cui facevano parte diversi piemontesi. È chiaro che, se vogliamo intendere l’arte povera come attenzione ai materiali e alle loro proprietà, oltre che al rapporto con lo spettatore da un punto di vista multisensoriale, allora il suo lavoro si inserisce a pieno in questa definizione. Se ci riferiamo all’etichetta in sé, è andato molto oltre, nel corso degli anni».
Le sue opere hanno un legame con la terra natale?
«La sua produzione è slegata da qualsiasi luogo, perché si concentra sulla natura e sui materiali, che trascendono la geografia. Ma ha comunque mantenuto un certo rapporto con le sue origini. Tutto parte dai ricordi e dalle memorie, fino al suo lavoro. Non dimentichiamoci che, nel 1968, esordì con una serie di fotografie che documentano azioni compiute nei boschi di Garessio, nella zona delle Alpi marittime, la sua casa».
Lorenzo Germano
