PENSIERO PER DOMENICA – XXXIII TEMPO ORDINARIO – 17 NOVEMBRE
L’interrogativo se è prossima la fine del mondo è proprio di ogni generazione. Lo vediamo nelle letture proposte nella Messa. Nel Libro di Daniele (12,1-3) – il testo prende il nome dal protagonista non dall’autore – l’interrogativo posto sulla bocca degli esuli a Babilonia è in realtà quello dei Giudei perseguitati dai Seleucidi. Quando Marco scrive il suo Vangelo, nel contesto dell’oppressione romana che porterà alla distruzione di Gerusalemme, la domanda era forte. Lui propone come risposta le parole di Gesù (Mc 13,24-32).
«Nessuno lo sa». Due frasi inequivocabili di Gesù chiudono ogni discussione: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre»; «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Il credente non va in cerca delle divinazioni di indovini e nemmeno di rivelazioni private di santi o della Madonna. Se la risposta non l’ha data Gesù, non ce l’ha nessuno! Per vivere il presente e attendere il futuro ci basta la sua Parola.
Impegno. Gesù ci chiede piuttosto di collaborare per il futuro del mondo. Intanto ci rassicura: nonostante le catastrofi che minacciano il mondo, la salvezza è possibile. Il compito del cristiano si articola in una serie di atteggiamenti molto concreti, tutti di segno positivo. In sintesi: non evadere, ma impegnarsi nella storia; non perdere tempo a lamentarsi, ma pensare a gesti concreti, positivi e costruttivi; non essere creduloni di fronte alle profezie di sventura, ma imparare a leggere i segni dei tempi, come dai fenomeni naturali leggiamo lo scorrere delle stagioni. Concretamente, l’allarme su possibili catastrofi future deve tradursi in impegno nel presente: pensiamo all’ambito ecologico o educativo, all’impegno per promuovere la pace e la giustizia, al lavoro per avviare relazioni interpersonali sane e costruttive.
Anno della preghiera – 39. La preghiera cristiana è preghiera di persone già salvate. È il messaggio della Lettera agli ebrei: grazie al sacrificio di Cristo, siamo già salvati da un dono gratuito di Dio. Tutto il contrario dei sacrifici offerti dai sacerdoti ebrei per allontanare dal popolo la collera di Dio, senza però poter cancellare i peccati. È bello pregare da salvati: non con l’incertezza di chi non sa se nella vita ha fatto del bene a sufficienza o con l’angoscia di chi dispera della salvezza, ma con la serenità di chi crede che è stato ammesso alla comunione con Dio e deve solo vivere al meglio questo dono.
Lidia e Battista Galvagno