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Bruno Ceretto: «Siamo pronti ad avviare tre nuovi ristoranti»

Prossimo agli 88 anni – li compirà il 22 febbraio –, Bruno Ceretto si racconta a Gazzetta d’Alba, dai grandi temi che stanno scuotendo il mondo del vino al futuro della Langa

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Bruno Ceretto

L’INTERVISTA Prossimo agli 88 anni – li compirà il 22 febbraio –, Bruno Ceretto si racconta a Gazzetta d’Alba, dai grandi temi che stanno scuotendo il mondo del vino al futuro della Langa, per arrivare alle sue varie attività.

Partiamo dal consumo: con il nuovo Codice della strada sono emersi forti timori tra ristoratori e produttori. Cosa ne pensa, Ceretto? 

«Non voglio giudicare le scelte del Governo: penso che bere due bicchieri di vino a tavola tutti i giorni, quando si è in vacanza, sia un modo per valorizzare la qualità dei nostri prodotti. Credo però che si dovrà cambiare qualcosa. Per quanto mi riguarda, bevo abitualmente quattro calici di vino al giorno, non solo per lavoro, ma anche per piacere».

Anche l’architettura può dare più valore al territorio
L’Acino nella tenuta Monsordo Bernardina della famiglia Ceretto.

E sugli investitori stranieri che puntano alle storiche cantine in Langa?

«Il langhetto non si lascia condizionare da nessuno. Ha faticato talmente tanto che non si lascia scappare le sue terre. La Langa non è affare per Wall street. E quelli che hanno comprato hanno già quasi tutti rivenduto (si era parlato, nei giorni scorsi, della cessione da parte della Krause Holdings della prestigiosa cantina Vietti, notizia poi smentita, ndr). Dico ancora che ogni tanto sarebbe bene farsi un giro in Borgogna e imitare i nostri vicini, per come sono stati bravi a difendersi da questi fondi».

Lei come vede la Langa, tra vent’anni?

«È un territorio che può esistere solo se di qualità. Siamo uno dei vertici dell’enogastronomia mondiale: negli ultimi sessant’anni, c’è stato un lavoro corale per migliorare la proposta turistica. Ma penso che si debba crescere ancora. Noi lo facciamo da sempre: per quanto riguarda il cibo, con i due ristoranti in centro ad Alba, ma anche con il vino. In generale, serve anche dare un valore affettivo al proprio lavoro. Oggi, come famiglia, abbiamo deciso di investire risorse per potenziare, in particolare, l’ambito della ristorazione».

Ci sono novità, allora, per l’azienda Ceretto?

«Presto apriremo un nuovo ristorante tra le vigne delle Brunate, a La Morra, dove vent’anni fa abbiamo restaurato la cappella, diventata un simbolo nel mondo per il nostro territorio. Daremo sempre una grande attenzione alla materia prima. Con Enrico Crippa e Piazza Duomo, siamo partiti da un concetto fondamentale: pochi luoghi al mondo hanno a disposizione le migliori verdure, carni, formaggi, vini e il tartufo. Questo nuovo ristorante non sarà l’ultimo: in futuro ne arriveranno altri due sul territorio. Non vogliamo certo creare catene internazionali, ma perfezionare sempre di più i piatti tipici: non solo i classici tajarin, agnolotti, vitello tonnato, brasato o bonet, ma anche altre proposte basate su una ricerca minuziosa».

Un'ondata di colore nelle Langhe: David Tremlett
La Cappella del Barolo © Caulfield / Wikipedia

Come nascono queste idee?

«Ragiono e non copio: penso a quello che manca davvero per valorizzare sempre di più la Langa. Poi invento e investo. L’altro nostro ristorante, La Piola, è sempre rimasto lo stesso, dall’apertura nel 2005. Con la sua proposta tradizionale, è un omaggio al territorio: mi ricorda la cucina materna. Tra cantine e ristoranti, abbiamo più di 20mila persone all’anno che ci raccontano i motivi del loro viaggio: scelgono le nostre colline per i grandi vini e, subito dopo, per i paesaggi».

Ultimamente si parla molto dell’alta Langa e del suo recente sviluppo turistico: anch’essa non corre il rischio di essere snaturata nella sua autenticità?

«Credo che si potrebbe compiere un passo ulteriore. Ho sempre pensato che le materie prime di qualità, fondamentali per la ristorazione, dovessero essere prodotte da chi le usa. Vedrei molto utile la creazione, in alta Langa, di allevamenti di polli, conigli, faraone, volatili e bestiame, che garantirebbero alla ristorazione di alto livello i prodotti nostrani. Soltanto così potremo attirare la clientela internazionale che va alla ricerca dei gusti veri e che è disposta a spendere molto a livello di esperienze sul territorio».

Filippo Bonardo Conti

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