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Il reportage / Il Piemonte è maglia nera per il consumo di suolo, ma in Regione non passa la legge per frenarlo

Per la logistica, la proposta del Pd era molto chiara: affidare la pianificazione alle Province, così da renderla più stringente di quanto garantiscono i Comuni; la Regione non è d’accordo

Il reportage / Il Piemonte è maglia nera per il consumo di suolo, ma in Regione non passa la legge per frenarlo

REGIONE Se si sale sulle colline delle Langhe e del Roero, magari dove i Comuni hanno costruito punti panoramici con panchine per i turisti, e si guarda verso il basso, la vista è puntellata da tante piccole macchie grigie. Si alternano al verde dei campi coltivati. Sono i grandi capannoni commerciali dedicati soprattutto alla vendita, alla produzione e alla logistica. Tutto intorno sorgono strade di collegamento, aree parcheggio e molte infrastrutture di varia tipologia. In tutto il Piemonte, sono insediamenti in espansione, perché il settore della logistica è in crescente sviluppo e, com’è evidente, mancano strategie politiche in grado di arginare il fenomeno. Nel frattempo, i danni collaterali sul fronte ambientale sono sempre più pesanti.

I numeri

Secondo l’ultimo rapporto Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), pubblicato a fine 2024, la cementificazione sta divorando porzioni sempre più ampie di verde, con gravi conseguenze non solo sulla natura, ma anche per le persone. La perdita di biodiversità, l’alterazione degli equilibri e il disboscamento contribuiscono in maniera significativa al cambiamento climatico. Il Piemonte si colloca al quarto posto a livello nazionale tra le aree che consumano di più, con un totale di 170.769 ettari di territorio erosi. Per fare un paragone, è come se ogni giorno, in regione, 2,4 campi da calcio venissero occupati da coperture artificiali.

In provincia di Cuneo, a oggi sono stati occupati dal cemento oltre 36.700 ettari (il 5,33% per cento del totale del suolo), per una media di 623 metri quadri per abitante. Rispetto al 2022, lo scorso anno l’incremento di cemento è stato pari a 106 ettari. Solo ad Alba il consumo è aumentato di 3,85 ettari. Nel complesso, sotto le torri, gli ettari scomparsi sono più di mille: al posto di erba e alberi compaiono case, capannoni, parcheggi, impianti di varia tipologia, fabbriche, strade.

Come migliorare

I ricercatori ammoniscono sulla necessità urgente di individuare alternative al cemento: se la natura soffoca, altrettanto accadrà alla salute degli esseri umani. Api, ragni e farfalle, processi di impollinazione, micorrize sotterranee, nutrienti della terra: sono solo alcuni degli elementi naturali che soffrono. Ed è una realtà che non può continuare a rimanere inascoltata. Ma, nonostante l’oggettiva urgenza, a inizio aprile il Consiglio regionale del Piemonte ha respinto una proposta di legge che andava proprio in questa direzione. A presentarla, Domenico Rossi, segretario regionale del Pd.

Sul piano per le cave lungo il Tanaro è già levata di scudi
Domenico Rossi, Pd Piemonte

Il contenuto era chiaro: limitare la proliferazione degli insediamenti logistici – soprattutto grandi capannoni –, così da arrestare il consumo di suolo. Ne abbiamo parlato con Rossi: «Il Piemonte è tra le regioni in cui il consumo di suolo è tra i più marcati, nonostante la popolazione diminuisca. I Piani regolatori, che attualmente normano la proliferazione del cemento, sono ancora pensati con parametri più che superati, risalenti agli anni Settanta, quando ancora gli insediamenti produttivi non erano diffusi in modo impattante come oggi: erano agli albori».

Il consigliere definisce la proposta di legge «morbida, in grado di limitare il consumo di suolo evitando atteggiamenti radicali». Eppure è stata comunque bocciata. «La nostra idea era semplice: le Province devono pianificare e regolare il moltiplicarsi dei capannoni. Oggi, senza l’intermediazione di questi enti, i grandi produttori o i colossi industriali parlano direttamente con gli enti locali e con i sindaci (spesso si tratta di Comuni di piccole dimensioni), a cui riescono a imporre la loro volontà in modo piuttosto semplice». Come può un paese di piccole dimensioni rifiutare l’insediamento di un’azienda, che porterebbe nelle sue casse preziosi oneri di urbanizzazione? «Si procede così con varianti ai Piani, fino a ottenere il permesso di costruire». Prosegue Rossi: «Siamo convinti che, nei prossimi anni, si debba costruire solo dove è opportuno farlo, dando priorità al riutilizzo di zone già cementificate e urbanizzate. Dove bisogna difendere il paesaggio e l’agricoltura di pregio, oppure gli habitat naturali e la biodiversità, è opportuno limitare il più possibile. È un obiettivo raggiungibile soltanto attraverso l’azione regolatrice di un ente sovracomunale, come la Provincia».

I motivi del No

Nonostante le ragioni oggettive, la maggioranza di centrodestra in Consiglio regionale ha bocciato la proposta presentata dal Pd. Hanno anteposto altre motivazioni: oltre a una presunta sovrapposizione con la normativa già esistente, il discorso ha toccato anche altri aspetti. Così ha detto l’assessore alla logistica, Enrico Bussalino: «Con una legge di questo tipo, verrebbe danneggiata l’attrattività dei territori, con un aumento degli oneri di urbanizzazione a carico di chi ha intenzione di insediarsi in Piemonte».

E ha aggiunto: «La logistica è un settore chiave per lo sviluppo economico della nostra regione, ma la sua crescita va governata con strumenti chiari e integrati. Abbiamo già avviato una pianificazione strategica, che garantisce equilibrio tra competitività e sostenibilità. Serve una visione d’insieme, non nuove norme frammentarie che rischiano di creare confusione tra enti locali e investitori».

Basta bugie

La pensa diversamente Paolo Pileri, professore ordinario di pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Fa parte del comitato scientifico del rapporto nazionale sul consumo di suolo di Ispra. E, lo scorso gennaio, alla fondazione Ferrero è stato ospite della comunità Laudato si’ Gazzetta d’Alba per una conferenza sul tema.

Dopo l’affaire piemontese, torna a parlare al giornale: «La logistica in Piemonte sta proliferando in modo oggettivo e sebbene alcuni attori possano esultare dal punto di vista economico, non dobbiamo dimenticare che queste attività di solito durano poco nel tempo e per contro, per il loro funzionamento, richiedono un indotto devastante dal punto di vista ambientale: aree parcheggio, strade, rotonde. Inoltre, un territorio improntato sulla logistica perde significative quote di attrattività, a differenza di quanto dice l’assessore».

Consumo di suolo / Paolo Pileri: «Attenzione anche alle fonti rinnovabili e all'agricoltura»
Paolo Pileri.

Basti pensare a un visitatore che si ritrova circondato di capannoni. «Il settore logistico, poi, tende a preferire un elevato livello di automazione alla manodopera umana e, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, questa caratteristica diventerà ancora più evidente. Rischiamo di perdere molti posti di lavoro. La politica dovrebbe domandarsi: quale identità sto costruendo? Puntare sulla logistica invece che sull’ambiente non sembra una mossa strategicamente efficace». Pileri prosegue osservando come il Piemonte, allo stato attuale, non possa vantare strategie di monitoraggio efficaci sul fronte del consumo di suolo.

«Eppure il regolamento europeo prescrive il ripristino di almeno il 30% degli ambienti naturali degradati entro il 2030. Dentro questa definizione rientrano moltissime aree, da quelle agricole a quelle fluviali, comprese molte zone della provincia di Cuneo. Se non ci atterremo a queste imposizioni, dovremo pagare pesanti sanzioni e la politica dovrà renderne conto».

Il futuro

Il professore conclude: «Sottrarre biodiversità ai territori ci porta indietro di molti anni, a un modello economico “turbo-capitalista”, forse anche influenzato dai venti che arrivano dal resto del mondo e dall’atteggiamento di una politica americana che negli ultimi mesi sta prendendo decisioni nocive su questo fronte. Tuttavia, auspico che i nostri politici sappiano muoversi in maniera differente, tutelando il benessere delle nostre terre, per noi e per chi verrà dopo».

 Maria Delfino

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