
ABITARE IL PIEMONTESE Negli stessi luoghi in cui l’altroieri si rischiava di morir di fame, oggi le persone arrivano anche da molto lontano per il motivo opposto, ossia mangiare e bere. Tempo fa parlammo della piòla, la trattoria, un locale deputato a servire pasti, specie ai viaggiatori, non di rado con camere annesse. In questo caso si trattava di una locanda, a piedi e a cavallo, per indicare anche la presenza della stalla e la scelta di dove dormire. Questa volta la parola è òsto (pronuncia: ostu): uno spazio popolare che non si limitava a essere soltanto il luogo dove mangiare e bere. L’òsto è, soprattutto era, la vera occasione di socialità in ogni paese. A frequentazione prettamente maschile, si giocava a carte, si trattavano affari, si litigava, ci si ubriacava o si faceva festa cantando. Gli stati d’animo erano vari e controversi, sicuramente autentici. Si dice che o vanta nen ciameje a ȓ’òsto se ‘ȓ vin o ȓ’è bon (non bisogna chiedere all’oste se il vino sia buono) perché potrebbe rivelarsi una domanda retorica, dalla risposta ovvia.
La parola òsto arriva dal latino hospitem (ospite) attraverso il latino medievale hosterium (oste). Fino a un secolo fa, prima dei veicoli a motore, si viaggiava lenti per tutto il giorno e parte della notte. L’unico appoggio ad avere una lanterna davanti all’insegna poteva essere un òsto con stanze dove si poteva fare tappa per ristorarsi e alloggiare. In Francia come nel Nord-Ovest d’Italia, l’insegna era rappresentata da un leone dorato che brillava nella notte. Cartoné o viandanti erano spesso analfabeti (si parlava solo piemontese o francese) e quell’insegna che qualcuno pronunciava au lion d’or altro non è che il pittogramma del più prosaico au lit on dort cioè qui si dorme in un letto), anziché in terra o sulla paglia nella stalla. Ecco perché molte osterie e ristoranti portano ancora oggi l’eroico nome Leon d’oro.
Paolo Tibaldi
