
ABITARE IL PIEMONTESE Se un linguaggio è un codice comunicativo non per forza verbale, una lingua è invece l’insieme delle parole utilizzate da un popolo. Tentare di scendere alle radici delle parole, alle vicende in cui sono servite, è l’intento di questa rubrica. Un soprannome che c’è stato dato da qualche tempo è col dëȓ paȓòle (quello delle parole): mi piace, purché queste siano corredate dai fatti. È con un saggio proverbio suggeritomi da una signora a fine spettacolo che vorrei cominciare il nuovo anno: la paȓòla a l’è ‘l son, l’esempi a l’è ‘l tron (la parola è il suono, l’esempio è il tuono). Ogni parola possiede una propria caratura, un peso specifico che la rende preziosa e non facilmente sostituibile. Le parole, diciamo sempre, sono come le persone: hanno un nome, una storia, a volte una data di nascita.
Paȓòla viene dal latino medievale paràula, a sua volta da paràbola, che deriva dal greco para (vicinanza, ciò che sta accanto) + ballo (gettare, porre). La parabola non tocca un argomento diretto, ma qualcosa che gli sta accanto, un paragone, una similitudine. Per questo parola e termine non sono sinonimi, ma addirittura divergenti. Termine, per definizione, conclude e fissa il confine oltre il quale non si può andare. Parola lascia spazio, dice quanto basta, non mette confini, ma allude a qualcosa che va oltre sé stessa, è creativa, si addice al dialogo, alla poesia. Si tratta allora di uno straordinario espediente pedagogico che stimola iniziativa, autonomia e immaginazione.
Se acqua è parola, H2O è termine. Acqua si presta a un uso figurato, immaginifico, evocativo. Acqua può richiamare il periodo della gestazione, la vita, la sete, lo scorrere del tempo, un percorso di purificazione, di semplicità. Su H2O non c’è altro da dire se non che esprime un punto di vista preciso e scientifico, riducendo l’acqua a una formula, al suo stretto significato chimico, impedendone un’interpretazione. Parola è apertura, libertà, narrazione, poesia. Termine è chiusura, definizione, formula, costrizione.
Alcuni modi di dire piemontesi: Sté ‘n sȓa paȓòla (accordarsi, fidarsi); buté na bon-a paȓòla (raccomandare, intercedere); dì na bon-a paȓòla (consolare); mangesse ‘ȓ paȓòle (farfugliare); mnì a paȓòle (litigare); manché ‘d paȓòla (non mantenere una promessa); esse ‘d pòche paȓòle (essere taciturno); pijé ‘n paȓòla (prendere sul serio); nen savèj buté doe paȓòle ‘n cȓos (non saper parlare).
Le parole sono anche un’unità di misura per valutare la coerenza di una persona ed eventualmente diffidarne. Davide ci ha suggerito questo proverbio, tramandato dalla sua famiglia da tante generazioni: o ȓ’è nen ‘n bon personàge col ch’o cambía o sò linguàge (non è un buon personaggio colui che cambia il suo linguaggio). Un bel sottotitolo per Abitare il piemontese.
Paolo Tibaldi
