È arrivato sugli scaffali delle librerie italiane il primo romanzo della braidese Luisa Grosso, reporter, filmaker, sceneggiatrice e una delle guide artistiche – con Luca Busso e Stefano Sardo – del festival cinematografico Corto in Bra.
Miriam e la geometria è edito da et al./Edizioni (232 pagine, 15 euro). A illustrare il libro è la stessa autrice: «Si tratta di un romanzo che ha una sua struttura geometrica: è composto da 12 racconti, si sviluppa in quattro situazioni diverse e in quattro unità di tempo e di luogo: il Salento, Bologna, Londra e infine un viaggio dalle Langhe a Sagres, in Portogallo. Per ogni racconto c’è una voce narrante differente, tranne che per Miriam, che torna quattro volte, in ognuno dei luoghi. Ogni racconto è a sé, ha una sua compiutezza, mentre i 12 racconti insieme compongono un’unica storia, la storia di un’estate, l’estate in cui per Miriam tutto cambia».
Protagonista assoluta è quindi Miriam: si tratta di una donna ancora giovane, con una figlia bambina e una adolescente, una donna ancora bella e baciata dalla grazia di una spiccata sensibilità creativa, che si ritrova intrappolata nella stessa prigione che si è chiusa attorno al corpo di suo marito Pietro, anche lui ancora giovane, ancora bello, ancora forte, ridotto da un incidente a vegetare muto, paralizzato e totalmente dipendente, senza poter vivere, senza poter morire. Finché un’estate tutto cambia e Miriam si trova a dover scegliere: ribellarsi al dolore o sacrificargli il suo futuro come a un dio minore, da placare?
«Il romanzo», spiega Luisa, «nasce da un racconto che ho scritto nel 2005 mentre mi trovavo nel Salento, dopo che avevo finito di leggere Il conformista di Moravia. Solo dopo tre anni ho ripreso in mano quelle pagine e ho scritto gli altri undici racconti». Così definisce il libro Lidia Ravera nella sua prefazione: «Un romanzo profondo, scritto in una lingua leggera, antiretorica e apparentemente divagante, capace di sorridere e far sorridere, come sa fare soltanto chi è passato attraverso l’inferno. E ha raggiunto la posizione giusta per guardarci dentro».
Roberto Buffa