ALBA Un successo, non la si può definire in altro modo la prima assoluta di Tòte vigiòte, in scena ieri, sabato 3 marzo al Teatro Sociale di Alba. Tutto esaurito da tempo per lo spettacolo scritto da Oscar Barile, accolto da un lungo applauso finale.
L’intervista di Matteo Viberti
La rassegna Teatro del territorio allestita dal Sociale di Alba è il simbolo di una produzione dal basso, un marchio artistico scaturito dalle storie di Langa. Il primo appuntamento ieri sabato 3 marzo, alle 21, con Tòte vigiòte del Nostro teatro di Sinio, guidato da Oscar Barile, che della parte del cartellone dedicato agli spettacoli in piemontese è anche il direttore artistico.
Le serate proseguiranno sabato 10 marzo con Carlin a Tirin della compagnia Associazione per gli studi su Cravanzana; sabato 17 marzo Tut për ’na lastra ëd giassa sarà la proposta della Corte dei folli di Fossano.
Oscar Barile, nella commedia ha messo tre donne al centro della trama. Chi sono?
«Le tòte vigiòte hanno vissuto tutta la loro vita sognando il grande amore, aspettando la grande occasione e commiserando chi, nel frattempo, coglieva l’attimo e si accontentava di intraprendere un cammino di vita normale, senza castelli in aria e irrealizzabili fantasie. Eppure il tempo passa, e le donne rimangono sole. Fino a quando una nuova figura si affaccia nella loro vita, inducendole al recupero di qualcosa di emotivo e profondo che era andato smarrito».
Si riferisce all’apprezzamento della vita, e al correlato senso di gratitudine?
«In qualche modo sì. L’affetto e l’attenzione, non proprio disinteressati, di due giovani nipoti riusciranno a risvegliare desideri sopiti e voglia di fare delle donne, a dispetto del tempo che passa. Proprio il tempo è al centro della riflessione di questa commedia che, in modo divertente, vuole ricordarci di non attribuire eccessivo significato alle questioni materiali e superficiali, perché tutti siamo destinati a passare. Dopo due generazioni nessuno potrebbe ricordarsi di noi se abbiamo passato l’esistenza a inseguire desideri e appagamenti superficiali. È un’amara verità, che spingerà le donne della trama a ricalibrare l’importanza degli affetti ristabilendo, nella gerarchia della vita, il peso a ciò che davvero conta».
C’è una quota di sua esperienza personale nella sceneggiatura della commedia?
«Per molti anni ho lavorato in Comune, in un ufficio pubblico che mi consentiva di entrare in contatto con moltissime persone. Mi raccontavano le loro storie. Da lì ho sviluppato la trama, la complessa riflessione in forma di commedia sulla nostra precarietà esistenziale e sulla conseguente necessità di effettuare un lavoro sulle priorità».
Nello scrivere un simile spettacolo, quanto pianifica e quanto improvvisa?
«Pianifico quasi tutto, ma una volta definiti i profili dei personaggi sono questi ultimi a suggerirmi lo sviluppo interno e comportamentale delle vicende. Come sempre nei nostri spettacoli esiste un’approfondita ricerca sul piemontese – su come questo dialetto possa arrivare a esprimere qualsiasi sentimento, anche complesso. Siamo felici del risultato, a venti giorni dalla messa in scena i biglietti sono esauriti. Questo per noi è un grande onore, riconoscimento e responsabilità».
Matteo Viberti