Mother’s choice dà un’opportunità di vita

HONG KONG Nella megalopoli restituita dalla Gran Bretagna alla Cina nel 1997 sono da poco passate le 10: l’aria è tiepida e umida quando il taxi mi scarica al numero 5 di Bowen Road, in un quartiere residenziale. Un cartello annuncia Mother’s choice, un nome diventato familiare anche dalle nostre parti grazie all’asta del tartufo.

L’istituto è ospitato in una palazzina liberty donata dalle due coppie che hanno fondato Mother’s choice. La prima cosa che vedo è una scarpiera enorme con decine di minuscole ciabatte; la seconda una bimba che mi saluta. Mi stupisce la spavalderia della piccola di fronte a uno sconosciuto, ma Eunice, la volontaria che mi accoglie, anticipa la domanda e mi spiega come non si possa essere timidi quando si cresce in un istituto con altri cinquanta bambini e oltre 450 volontari: il bisogno di amore dei piccoli e la mancanza di una famiglia a proteggerli li spinge verso il prossimo con fiducia e coraggio.

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Eunice mi dà un paio di copriscarpe, un’altra volontaria mi misura la temperatura per essere sicura che non contagi i bambini. Mi spiega: «Vedrà molte volontarie e alcune ragazze giovanissime, sono le madri che scelgono di rimanere con i propri piccoli: le ospitiamo da quando sono incinte e possono rimanere con il figlio fino ai due anni, poi decidere se tenerlo o se sia meglio lasciarlo in adozione. Invitiamo anche i nonni a conoscere i bambini per convincerli a non disconoscere la figlia e a imparare a non giudicare la ragazza».

Davanti ai miei occhi una ventina di culle e altrettanti bambini: «La legge cinese dice che deve esserci un operatore ogni otto bambini. Si immagini avere a che fare con otto neonati; qui abbiamo un volontario ogni due piccoli, sempre. Sono quasi tutte donne. A turni coprono i giorni della settimana: il loro compito è giocare con i bambini, massaggiarli, stare con loro fino al compimento di un anno». Quando sono capaci di camminare i bambini vengono accolti in un’altra ala, dove sono ospitati fino ai due anni. Ogni fine settimana sono accompagnati al parco. In una terza parte del complesso si trovano i più grandicelli. Quasi nessuno dei bambini supera i due anni in istituto: nella quasi totalità dei casi sono adottati negli Stati Uniti o in Europa, con l’Italia in primo piano.

Eunice aggiunge: «La struttura si avvale di tre terapisti e due medici, per il resto il lavoro viene svolto dai volontari. All’inizio pensavo di poter aiutare dei bambini prestando il mio tempo a Mother’s choice, ma ho presto capito che prima di tutto stavo aiutando me stessa».

«Nell’ala dedicata ai nostri bambini con esigenze speciali succedono i miracoli più grandi». Al centro della sala giochi una bambina di un anno con un tumore grande come un pugno su una testa poco più grande. Sono portato a distogliere lo sguardo per la sorta di pudore verso il dolore tipica degli occidentali. La piccola mi guarda e mi viene incontro attratta dalla barba – a Hong Kong sono rari gli uomini con la barba – la accarezza e la tira. Capisco in pochi secondi cosa intendesse Eunice parlando di miracoli. La volontaria mi spiega che le istituzioni finanziano la struttura, ma non l’acquisto di giochi o attrezzature, in modo particolare per la mobilità dei bambini speciali: «Questi giochi, questi attrezzi sono stati acquistati anche grazie alla generosità degli amici dell’asta del tartufo».

Torniamo nell’atrio, tolgo i calza scarpe, saluto i volontari ed esco fuori. In un piccolo parco giochi dove persino la grigia Hong Kong sembra colorarsi, giocano tre bambini, anch’essi sono incuriositi dalla barba. Risalgo i gradini che mi riportano nel traffico caotico della città e sono una persona diversa da quella che scendeva gli stessi gradini poco più di un’ora fa.

Marcello Pasquero

Alia Eyres: «Hong Kong è migliore anche grazie all’asta del tartufo»

Alia Eyres – mamma di quattro bambini, il quinto è in arrivo – è l’amministratrice di Mother’s choice.

Cosa significa la scelta alla quale fa riferimento il nome?

«L’associazione è nata nel 1987 dalla volontà di Gary e Helen Stephens e di Ranjan e Phyllis Marwah, i miei genitori. L’obiettivo era offrire una scelta a quelle madri che non l’avevano. Parliamo di giovani dai 12 ai 18 anni che, dopo essere rimaste incinte, erano state cacciate di casa. Molte di loro sceglievano di abortire o cedere o vendere i figli. L’idea era costruire una struttura in cui queste donne potessero scegliere di crescere i figli o di lasciarli una volta nati a disposizione per le adozioni; allo stesso tempo quei quattro genitori volevano dare un futuro ai bambini abbandonati».

Mother’s choice dà un’opportunità di vita

Quante persone state aiutando attualmente?

«Mother’s choice è una realtà di oltre 450 volontari che aiuta centinaia di ragazze e bambini. Svolgiamo anche attività di educazione, andiamo nelle scuole e collaboriamo con ragazze anche al di fuori della città. Possiamo dire che le vite di centinaia e migliaia di persone sono cambiate in questi ultimi 31 anni».

C’è una storia in particolare che le è rimasta dentro?

«Sono moltissime, ma a luglio ho ricevuto una visita di una giovane donna. Ha quasi 29 anni, frequenta l’università negli Stati Uniti. Fu una delle prime bambine delle quali ci siamo presi cura, era stata abbandonata in ospedale, cieca, con problemi motori e gravi patologie. Il direttore ottenne l’affidamento nella struttura e dopo un anno la adottò. Oggi quella ragazza, nonostante i problemi fisici, è una persona felice. Sta studiando per lavorare nel sociale, così da poter aiutare altre persone».

È bello pensare che l’asta abbia aiutato tanti bambini.

«Di questo devo ringraziare il grande cuore di Umberto Bombana. Lo conosco da quando ero teenager e credo che i miei genitori abbiano fatto un errore a presentarmi a lui: ha decisamente elevato i miei gusti in tema di cibi, d’autunno voglio solo mangiare tartufo bianco d’Alba (ride). L’incontro ha fatto nascere un bellissimo legame con la comunità italiana di Hong Kong e penso sia servito per far conoscere le eccellenze delle Langhe in Cina».

È mai stata dalle nostre parti, nelle Langhe?

«No, ma è un mio sogno: non appena mia figlia potrà viaggiare verremo a trovarvi. Non vedo l’ora».

m.p.

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