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Prezzi uve Cciaa: meglio fossero delle rilevazioni

È il viticoltore a fare la differenza

CAMERA DI COMMERCIO Il 13 novembre, la Consulta prezzi della Camera di commercio di Cuneo (Cciaa) ha ufficializzato i prezzi delle uve dell’annata 2018. Erano anni che non accadeva, per una diffusa contrarietà delle categorie che ritenevano i mercuriali inadeguati o incoerenti con la realtà. Per la mancata definizione di tali prezzi la Camera di commercio aveva avuto un richiamo dall’Istat.  Quest’anno, perciò, l’ente camerale si è mosso con tempestività e il 22 giugno la giunta ha definito i criteri di rilevazione e formulazione dei prezzi delle uve.

Le quotazioni non riguardano tutte le uve destinate alla produzione dei Doc e Docg del Cuneese. I prezzi sono stati rilevati per Nebbiolo da Barolo, Nebbiolo d’Alba e Langhe Nebbiolo, Arneis, Moscato per il Moscato d’Asti, Barbera per la denominazione d’Alba – anche nella tipologia Superiore – e Dolcetto per il Dolcetto d’Alba. Restano esclusi i Nebbiolo da Barbaresco e Roero, i Dolcetto per Dogliani e Diano, il Pelaverga piccolo per il Verduno e gran parte dei vitigni legati alla Doc Langhe. Due sono le cause probabili: da un lato il metodo molto rigido adottato e, dall’altro, il sostegno non plebiscitario della filiera.

Che non ci fosse un atteggiamento unanime da parte delle categorie era chiaro da tempo ed era stato ribadito settimane fa, quando le organizzazioni agricole (Coldiretti, Cia e Confagricoltura) avevano diramato la loro lista dei prezzi delle uve, legandoli a un’altra esigenza, cioè la definizione di valori indicativi per la determinazione dei canoni d’affitto in base all’accordo collettivo secondo la legge dell’82.

La presenza di due liste di prezzi, tra l’altro con oggettive differenze di autorevolezza istituzionale, rischia di creare confusione nella realtà vitivinicola. Confrontando i prezzi si nota che le quotazioni diramate dalle organizzazioni agricole sono più elevate rispetto a quelle camerali. Una situazione non coerente se valutata rispetto al fatto che tali organizzazioni dovrebbero favorire, pur in una logica di equità, canoni di affitto più propizi ai viticoltori affittuari piuttosto che ai proprietari fondiari, spesso non viticoltori.

Ma c’è una considerazione ancora più sostanziale che meriterebbe un po’ di riflessione. Le uve (e i prodotti agricoli in generale) sono tra i pochi che, in una dialettica tra venditore e acquirente, non hanno un riferimento chiaro di prezzo espresso dal produttore. Quest’ultimo, in base ai suoi costi e alle sue caratteristiche, dovrebbe proporre un proprio prezzo, sul quale la successiva contrattazione tra le parti dovrebbe determinare l’importo finale di contratto, con possibili sconti e condizioni accessorie di fornitura. Sembra che anche nel Duemila il mondo agricolo abbia ancora bisogno di interventi esterni per definire i suoi prezzi e ufficializzarli. Perché? Per mancanza di coraggio, per scarsa autorevolezza o perché si è sempre fatto così?

In tale logica, quelle diramate dalla Camera di commercio dovrebbero solo essere delle rilevazioni di prezzo come risultanti di contrattazioni già avvenute. Non un riferimento per fissare i prezzi. Se così fosse, probabilmente tutto sarebbe più facile.

Queste le quotazioni espresse dalla Camera di commercio (prezzi medi al chilo): Nebbiolo per vino Barolo, 3,991-4,443; Arneis per vino Roero Arneis, 1,100-1,197; Moscato per vino Moscato d’Asti, 1,081-1,199; Barbera per vino Barbera d’Alba, 1,074-1,325; Barbera per vino Barbera d’Alba superiore, 1,136-1,528; Dolcetto per vino Dolcetto d’Alba, 0,835-1,047; Nebbiolo per vino Nebbiolo d’Alba, 1,486-1,742; Nebbiolo per vino Langhe Nebbiolo, 1,329-1,842

Giancarlo Montaldo

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