Perché il divertimento in piemontese è detto Smoȓa? Scopriamolo

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Smoȓa: Divertimento, gioco, intrattenimento, sfogo ricreativo, trastullo.

Devo confessare di essere stato sottoposto ad un gioco di traduzione dall’italiano: come si chiama in piemontese il “gomitolo”? E la “pigna”? Mentre sulla traduzione di quest’ultima non ho avuto esitazioni, giacché il suo corrispondente piemontese è curucucù (come il mitico finale della filastrocca dalin dalan), sul gomitolo ho dovuto ammettere di non ricordarlo. Che siate ad Alba, in Alta Langa o nel Roero, il gomitolo sicuramente lo chiamerete con una delle seguenti varianti: amissel, rimissel, gramissel, missel, limissel.

Questo era un solo esempio di come ci si possa divertire e giocare, facendo balzare alla mente una parola che non conosciamo o che non sentivamo da molto tempo – poiché detta da una nonna chissà quando. Abitare il piemontese significa anche intrattenersi, sfogarsi: smoȓa o dësmoȓa – a seconda della zona – è appunto la parola di oggi. Lessicalmente possiamo tradurlo come gioco, trastullo – oggi diremmo anche hobby – ma ammettiamo che come traduzione non è sufficiente, oltre che dissonante. Insomma, non ci accontenta.

Si tratta piuttosto di un concetto: smoȓesse è provare piacere, saziarsi di gioia, sentirsi realizzati, stancarsi, sudare, ecc…giocando ed esaurendo i propri desideri di spasso in circostanze positive, ludiche, ricreative: produrre endorfina, l’ormone della felicità. Ognuno immagini cosa preferisce. La smoȓa può essere una attività fisica, ma non soltanto, così come non occorrono per forza oggetti. Basti pensare allo spasso che si prova nell’imparare le filastrocche da una nonna che si aiuta con gesti e vezzi che provocano incanto, meraviglia e risate a crepapelle.
La parola di oggi ha etimologie controverse che arrivano al ligure, passando per l’occitano e partendo dal Latino dove DEMORARI indica un trattenere, proprio come succede con un gioco o un’attrazione che distrae tanto da far perdere la concezione del tempo.

Questa parola viene pronunciata anche nella rappresentazione teatrale “Me Fȓel” di Oscar Barile quando, nei pressi dell’epilogo, i due personaggi in scena ricordano alcune piacevoli vicissitudini avvenute da bambini, quando giocavano in campagna senza la necessità di chissà quali apparecchiature costose o tecnologiche. Ma soprattutto insiemee.

Paolo Tibaldi

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