Rosa Oberto, la prima donna vicepresidente di Terre del Barolo

Rosa Oberto, la prima donna vicepresidente di Terre del Barolo
Rosa Oberto all’ultimo Grandi Langhe con Gabriele Oderda di Terre del Barolo e il direttore Stefano Pesci.

L’INTERVISTA Rosa Oberto è, da poche settimane, la vicepresidente della cantina Terre del Barolo. La prima donna a ricoprire il ruolo, eletta dopo due mandati nel consiglio d’amministrazione. Una scelta naturale, quella dei soci, anche alla luce del fatto che un terzo delle circa trecento aziende viticole della cooperativa di Castiglione Falletto è guidato da signore.

Qual è la peculiarità, Rosa, di una gestione femminile?

«Premetto che la competenza non ha genere. L’agronomo del nostro ufficio tecnico è una donna, Martina Tarditi, originaria di Diano, che dopo la scuola enologica e la laurea ha avuto un’importante esperienza in Francia, nella valle del Rodano, diventando tra l’altro un’esperta della flavescenza. All’inizio ci chiedevamo come avrebbero vissuto la novità i nostri soci più anziani, ma lei in poco tempo ha saputo far riconoscere la sua autorevolezza. Persino mio padre, che è della vecchia guardia, si affida senza remore alla sua competenza. In generale posso dire che le socie donne hanno una maggiore capacità di mettersi in discussione e quindi è ancora più facile collaborare».

Cosa significa fare cooperazione nella nostra zona?

«Se si pensa agli anni in cui Terre del Barolo è nata, nei quali diversi altri tentativi di creare cantine sociali erano falliti, si apprezza il valore delle regole che Arnaldo Rivera e i primi ventun soci stabilirono. È difficile fare cooperazione, ma alla fine ci si siede e si discute sempre avendo al centro dell’attenzione il viticoltore. Non solo perché abbia il giusto per il suo prodotto, ma anche per garantire gli investimenti che assicurino non solo il domani, ma anche il dopodomani della cantina».

Rosa Oberto, la prima donna vicepresidente di Terre del Barolo
Rosa Oberto all’ultimo Grandi Langhe con Gabriele Oderda di Terre del Barolo e il direttore Stefano Pesci.

Fammi un esempio di scelta lungimirante.

«Puntare a tecniche adeguate ai cambiamenti climatici che tutti stiamo percependo. Noi con i nostri interventi agronomici possiamo fare la differenza e delle scelte che ci conducano lontano. Penso, per esempio, a un graduale abbandono dei diserbanti. Così come sono convinta che il riconoscimento Unesco debba essere uno stimolo per farci migliorare, nel nostro e in altri settori come il turismo».

Come si sviluppa il passaggio di testimone tra generazioni?

«È delicato lo scambio tra la tradizione degli anziani e il desiderio e la necessità di evoluzione dei più giovani, però arricchisce. E se non si comprende a fondo la prima è difficile arrivare a possedere le nuove tecniche ed elaborare strategie per il futuro. Per quanto mi riguarda far parte di un realtà cooperativa è stato fondamentale per superare le difficoltà iniziali, per arrivare a padroneggiare quanto mi insegnava mio padre grazie ad altri soci e all’ufficio tecnico. Quello che deve passare da una generazione all’altra è l’attaccamento alla vigna mostrato dai nostri soci».
Qual è l’aspetto del lavorare in vigna che più colpisce chi, come te, ha compiuto in precedenza esperienze professionali diverse?
«Il fatto che sei sotto il cielo ed è la vigna a dettare il tempo. Fondamentale, per il vignaiolo, è avere una capacità d’osservazione tale da far cogliere i cambiamenti in atto nel corso di ogni stagione e decidere gli interventi necessari».

Il contadino piemontese ha la fama di essere un tipo individualista. Come si affronta questo aspetto?

«Con il dialogo continuo che va a creare, a piccoli passi, un rapporto di fiducia solido. Vorrei conoscere bene tutte le aziende della cooperativa: credo che dietro a ognuna ci sia una storia più che degna d’essere ascoltata».

Paolo Rastelli

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