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Car-t: terapia genetica per pochi

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MEDICINA All’inizio di agosto l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il via libera alla rimborsabilità della prima terapia a base di cellule Car-t (Chimeric antigen receptor t-cell): una nuova speranza per la cura dei tumori del sangue che sarà disponibile in centri specialistici selezionati dalle Regioni. Per capire chi e come potrà usufruirne abbiamo interpellato Silvia Stefani, responsabile dell’ematologia all’Asl Cn2.

Car-t: terapia genetica per pochi

Perché è così importante l’introduzione della Car-t?

«Il trattamento dei linfomi è basato sulla combinazione tra diversi chemioterapici, radioterapia e, se necessario, trapianto di cellule staminali. Per ogni paziente la terapia viene stabilita tenendo conto dell’età, delle condizioni generali e di altre patologie concomitanti. Talvolta, per i linfomi di tipo non Hodgkin a progressione lenta, la migliore strategia è un costante monitoraggio. La Car-t rappresenta uno strumento in più per alcune categorie di pazienti in cui le terapie tradizionali non hanno avuto efficacia».

In che cosa consiste?

«Car-t è una terapia genica che si basa sull’utilizzo dei linfociti T del paziente che vengono prelevati, modificati in laboratorio e reinfusi: questi linfociti modificati sono in grado di distruggere le cellule tumorali. Le tempistiche per iniziare la terapia sono lunghe e ci sono effetti collaterali anche molto gravi. In Italia si potranno trattare circa 400 pazienti all’anno; il costo stimato è di circa 300-400mila euro ciascuno. L’Aifa ha anche previsto un nuovo modello di rimborso: il farmaco viene rimborsato al produttore solo se la cura è stata efficace».

Che cos’è il linfoma?

«Un tumore che origina dal sistema linfatico e più precisamente dai linfociti che sono globuli bianchi che si trovano nei linfonodi, nella milza, nel timo e nel midollo osseo. Il linfoma può avere origine in queste sedi, e successivamente, poiché i linfociti circolano nel sangue, coinvolgere altri organi. I linfomi sono divisi in due gruppi: linfomi di Hodgkin e linfomi non Hodgkin».

Come si manifesta?

«Il linfoma, specie in fase iniziale, può essere senza sintomi; poi i segni più frequenti sono ingrossamento senza dolore dei linfonodi di collo, ascelle e inguine, febbre, sudorazione notturna, stanchezza e perdita di peso».

Come si fa la diagnosi?

«È necessaria una visita medica per raccogliere i sintomi del paziente e per valutare le dimensioni di linfonodi superficiali, fegato e milza. Gli esami del sangue servono a escludere un processo infettivo e a evidenziare eventuali alterazioni di globuli bianchi, rossi e piastrine. Fondamentale è la biopsia del linfonodo ingrossato: se possibile si asporta l’intero linfonodo, per arrivare a definire il tipo di linfoma. Esami come la Tac e la biopsia osteomidollare servono per “stadiare” la malattia, cioè per evidenziare quali sono gli organi coinvolti».

Qual è la prognosi?

«La possibilità di prevedere l’evoluzione della malattia in un soggetto, in termini di guaribilità, di sopravvivenza e di qualità di vita è in funzione delle caratteristiche di aggressività e di estensione del linfoma, ma anche delle condizioni di base del soggetto: età, malattie pregresse ed eventuali patologie concomitanti».

Linfoma di Hodgkin: il caso più raro

Spiega Silvia Stefani: «I linfomi non Hodgkin sono il 4-5% delle nuove diagnosi di tumore. L’età mediana d’insorgenza è compresa tra 50 e 60 anni e l’incidenza aumenta con la vecchiaia. In Italia si calcolano 15-18 nuovi casi l’anno per 100mila abitanti. Il linfoma di Hodgkin è relativamente raro. Interessa i giovani adulti maschi, e l’incidenza è di tre casi su 100mila. Fra i 15 e i 35 anni è uno dei tumori più frequenti.
Sebbene non sia del tutto chiara la causa dei linfomi sono chiamati in causa le radiazioni, il benzene e i pesticidi. È anche riconosciuto il ruolo predisponente di alcuni virus, come quello di Epstein-Barr o human herpesvirus, responsabile della mononucleosi,  i virus di epatite B e C  e l’helicobacter pylori».

Adriana Riccomagno

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