Omicidio di Roberta Perosino: chiesti 18 anni di carcere per il marito

Al Tribunale di Asti potrebbe andare parte dell’Alessandrino

GOVONE «Mia sorella era una brava persona, tutti la conoscevano in paese e nessuno può dire qualcosa di male di lei. Una gran lavoratrice, non capisco come si possa fare una cosa così a una persona come era lei» Luciana Perosino aveva ricordato così, a un anno dall’uxoricidio di Canove (frazione di Govone), la sorella Roberta, 53 anni, strangolata dal marito che ha cercato poi di dissimulare l’accaduto fino alla confessione resa ai militari della compagnia di Alba.

Ieri, lunedì 28 ottobre, nell’udienza tenuta alla presenza del giudice Albero Giannone nell’aula del tribunale di Asti, la Pm Simona Macciò ha chiesto per l’uomo una condanna a 16 anni di carcere per l’accusa di omicidio volontario, gravati da ulteriori 2 per la simulazione di reato.

Era il 26 giugno dello scorso anno quando Arturo Moramarco, 58 anni macellaio da poco in pensione, uccise la donna al culmine di un litigio dovuto, a quanto gli inquirenti hanno appurato, alla sparizione di denaro conseguenza della dipendenza dal gioco d’azzardo da questi sviluppata.

Il 7 agosto l’uomo aveva confessato di aver strangolato la donna con un cuscino in camera da letto, preso da un improvviso impeto, e trascinato il corpo in un’altra stanza per simulare un malore letale durante una rapina. «L’imputato ha chiesto di essere giudicato secondo il rito abbreviato e il giudice ha accettato la richiesta di costituzione a parte civile nel procedimento presentata dalla mia cliente» aveva spiegato lo scorso 10 luglio all’apertura del processo a carico di Arturo Moramarco, l’avvocato Piero Gallo che assiste Luciana Perosino sorella maggiore della vittima. «L’imputato dovrà rispondere dell’accusa di omicidio volontario e simulazione di furto, azioni che l’uomo ha ammesso».

Secondo voci circolate all’indomani della confessione nel piccolo centro la vittima era a conoscenza dei problemi con la ludopatia del marito. «Sono la sorella maggiore, lei era la più piccola, si può dire che l’ho cresciuta io, fra noi c’era un rapporto profondo. Era una persona molto riservata ma se ci avesse parlato dei suoi problemi avremo potuto aiutarla, invece purtroppo si è arrivati a questo fatto».

E’ il dolore di un trauma che non passa e si riaccende con il confronto in aula a dominare la testimonianza. «Rivederlo a un anno di distanza in aula mentre mia sorella è al cimitero è come tornare indietro di un anno. Non c’è pena a cui possa essere condannato che possa cancellare questo dolore» aveva proseguito la donna nella testimonianza resa dopo l’udienza preliminare. La decisione di costituirsi parte civile nel procedimento, trova anche in questo elemento un’ulteriore motivazione come aveva precisato il legale albese. «L’istanza permette a quanti ne hanno diritto di “entrare” nel procedimento penale chiedendo la quantificazione di un risarcimento che, a scanso di equivoci e, contrariamente a quanto detto da più parti la mia cliente ha precisato devolverà in beneficenza per intero».

Davide Gallesio

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