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Il Dolcetto d’altitudine in cerca di un’identità

Il Dolcetto d’altitudine in cerca di un’identità

INCONTRO Il seminario dedicato al Dolcetto coltivato in altitudine – l’alta Langa, per capirci – ha suscitato molto interesse. Domenica 17 la chiesa dei Battuti di Albaretto della Torre era gremita di gente, produttori, tecnici, giornalisti e autorità. Il futuro del Dolcetto e il suo rapporto con il mercato e il consumatore stanno a cuore a tanti. Anche l’Anno del Dolcetto, promosso dalla Regione Piemonte, ha portato un altro tassello al dibattito e alla sensibilizzazione. Dal tavolo dei relatori sono scaturite varie sollecitazioni, che dovrebbero far riflettere e aiutare a progettare un futuro diverso per questo vitigno e i suoi vini.

Il Dolcetto d’altitudine in cerca di un’identità 1
Il convegno sul Dolcetto in alta Langa si è svolto nella chiesa dei battuti, ad Albaretto.

Prima di tutto, molti hanno messo in evidenza il gran numero di vini a denominazione d’origine che si affidano, in tutto o in parte, a questo vitigno. L’elenco è lungo e non vale neanche la pena di ricordarlo. Va detto che è frutto di quello spirito di campanile che spesso ha guidato le scelte dei produttori e degli organismi istituzionali.  Una delle poche scelte controcorrente – la confluenza nel Dogliani del Dolcetto delle Langhe monregalesi – non è ancora adeguatamente apprezzata. Restando all’Albese, in origine sarebbe stato meglio creare un grande Dolcetto delle Langhe o Langhe Dolcetto, con la possibilità di menzioni specifiche legate a situazioni di maggior qualità e piacevolezza come Dogliani, Diano, Treiso, Monforte, Albaretto della Torre, Montelupo e altre ancora. La scelta praticata allora è stata differente e oggi sarebbe difficile modificarla. Ci sono troppi diritti acquisiti da rispettare.

Assai apprezzata è stata la relazione di Federico Spanna del servizio fitopatologico della Regione Piemonte. Il focus del suo intervento è stato il clima, la condizione ambientale che sta facendo le bizze e non da oggi. Ora le manifestazioni sono più plateali, ma è dal 1985 che le cose non vanno come dovrebbero. E gli eventi climatici esercitano influenze dirette sui territori e sulle coltivazioni. Spanna ha presentato un confronto tra dati climatici raccolti a Dogliani e a Serravalle Langhe. Dal paragone appare chiaro come nelle annate calde siano poche le differenze tra le diverse altitudini, mentre le disparità aumentano nelle annate fresche, con risultati migliori in altitudine rispetto alle quote più basse. Il giudizio di Spanna è stato drastico: «Il cambiamento climatico e la variabilità climatica hanno un elevato impatto sulle colture, su fitopatie, parassiti e le loro interazioni: gli effetti in particolare si esprimono con l’elevata concentrazione di CO2, le variazioni delle temperature, i quantitativi di precipitazione e la loro distribuzione, gli eventi estremi di segno opposto e l’evapotraspirazione».

Il forte legame tra il Dolcetto e il suo consumo quotidiano ha di fatto nuociuto a questo vino e alla sua identità. E non c’entra nulla se è un vitigno difficile, se ha bisogno di attenzioni e interventi puntuali o se il suo vino richieda rigore e attenzione dei comportamenti del produttore. Dovrebbe essere determinante il fatto che proprio il Dolcetto ha in sé i caratteri del vino internazionale, pronto per la beva, ma anche capace a resistere al tempo, eclettico nei suoi comportamenti in tavola, ma non banale o troppo semplice. Dipende dal fatto che il vino Dolcetto può essere un esempio di armonia e fragranza, che ha uno stile tutto suo nel raccontare le vicende di un’annata.

È vero: ha un nome particolare, che può anche trarre in inganno. I casi sono due: o chiamiamo i suoi vini con il solo nome delle varie zone, oppure ce ne facciamo una ragione e cominciamo a trasformare questo che finora sembra essere stato un “limite” in un elemento a favore, che ci permetta di raccontare e di coinvolgere appieno i nostri interlocutori.

Giancarlo Montaldo

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