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Anna: «Ormai mi sono abituata alla mia doppia vita»

Anna: «Ormai mi sono abituata alla mia doppia vita»

LA STORIA «Fin da piccolissima ho capito di essere diversa dagli altri bambini», dice Anna in una testimonianza narrata dall’associazione Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive affidatarie).

Questa sensazione di “alterità” si traduce in azioni quotidiane: «Non potevo vivere con i miei genitori, non potevo tornare a casa mia la sera. Avevo una famiglia, ma abitavo con un’altra. La notte mi svegliavo, tutta sudata con una fortissima nostalgia di mia madre». Anna si riferisce alla percezione che una bambina può avere del processo di affido: un disagio emotivo origine di problematiche scolastiche, che quindi non sono mai “il problema”, ma la conseguenza del problema.

Spiega Anna: «In classe ero tremenda. Non seguivo niente, con la testa ero lontana, assente, la mia angoscia la sfogavo attirando l’attenzione delle maestre, saltavo sui banchi, urlavo, ero una delle peggiori della classe». Ma il dolore può rappresentare soltanto una fase transitoria, un grido che dopo essere ascoltato e decifrato si dilegua: questo soltanto se la rete sociale circostante si occupa di incaricarsi della sofferenza, di elaborarla, di attivare le risorse esistenti.

Prosegue Anna: «Piano piano mi sono abituata a questa doppia vita. Quando sono troppo irrequieta mi chiudo in camera, i pensieri vanno all’indietro, al mio passato, a mia madre, a mia sorella. Cerco di concentrarmi e applicare il consiglio del prof di italiano: guardare davanti a me, al presente e al futuro, come fosse un esercizio per la felicità. Oppure telefono allo psicologo. Mi conosce da sempre, ho iniziato a fare terapia che avevo sei anni e ho continuato per quattro anni, è stato un modo per reagire al dolore e integrarmi nella società».

Oggi Anna sta con Carla e Mario dal lunedì al venerdì, il sabato e la domenica ogni 15 giorni con la madre naturale. Conclude: «Carla e Mario mi fanno da genitori, per me questo è un posto sicuro. Con gli amici non ho problemi, tutti conoscono la mia situazione. So anche che non c’è nulla di cui vergognarsi».

Infine la relazione con le due famiglie: «Mia madre dice spesso che vorrebbe riportarmi a casa, ma non è possibile purtroppo, la sua depressione continua a peggiorare. Con Mario e Carla posso costruire il futuro, ho quasi 18 anni, frequento un istituto professionale. L’alternativa era l’istituto o la comunità, per fortuna non è andata così. Continuo a soffrire quando lascio mia madre, ma adesso ho imparato a convivere con tanti affetti diversi».

s.e.

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