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Quaresima dei fatti o delle devozioni?

VERSO LA PASQUA Quest’anno il tempo di Quaresima è venuto a coincidere con lo scoppio dell’epidemia di coronavirus in tutto il mondo. Lungi da noi voler stabilire un qualsiasi rapporto tra i due fatti – anche se non mancano i soliti catastrofisti che vedono ovunque castighi di Dio all’umanità corrotta –, tuttavia, per chi è abituato a leggere la storia come il luogo in cui si manifesta la Provvidenza divina, ogni evento storico va vissuto non fatalisticamente, ma come occasione propizia per dare il meglio di noi stessi, alla luce dei valori evangelici che diciamo di professare. Per i cristiani, la Quaresima si connota come tempo speciale di conversione e di ritorno a Dio, come cammino incontro al Cristo risorto, che fa nuova l’umanità e la creazione. Di qui una serie di pratiche di culto, ma anche di attività solidali tese a esplicitare questo cammino quaresimale: la Via crucis, i riti penitenziali, l’accostarsi ai sacramenti, le opere di carità, tutto concorre a orientare la nostra fede e i nostri comportamenti.

Quaresima dei fatti o delle devozioni?

Lo stop, imposto dal pericolo del contagio, alle celebrazioni comunitarie e agli assembramenti in genere, ci costringe a ripensare non solo il nostro rapporto con Dio, ma anche quello con il prossimo, a partire dalla comunità parrocchiale di cui facciamo parte. A voler leggere in chiave provvidenziale i tempi difficili che viviamo, ci viene offerta l’occasione di verificare quanto la nostra fede è fatta di devozioni e quanto invece di convinzioni capaci di superare la prova; di fare chiarezza sulla nostra appartenenza a una Chiesa di ritualismi e cerimonie, anziché a una Chiesa che vive e trasmette la forza salvifica del Vangelo.

Se, infatti, non possiamo partecipare a un rito, possiamo continuare a praticare la carità e la giustizia, la solidarietà e l’onestà, la fedeltà matrimoniale e la dedizione alla famiglia. I profeti, nella prospettiva di una nuova alleanza con il Messia, invitavano il popolo a cambiare il cuore piuttosto che a offrire olocausti che disgustavano Dio. Gesù ai discepoli non manca di ribadire che il giudizio finale di Dio sarà basato esclusivamente su una serie di gesti molto concreti verso il prossimo: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dato da bere, ero malato e carcerato e mi avete visitato, straniero e mi avete accolto» (Matteo 25,31-46). Il vescovo nella sua lettera pastorale ha suggerito l’icona del buon Samaritano e la Caritas (vedi box accanto) offre un cammino per vivere la solidarietà. Approfittiamone!

g.t.

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