Con la pandemia va in fumo un terzo di fatturato

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L’INDAGINE Il mondo rurale è testimone di come gli uomini gestiscono il contatto con la terra, con quello strato antico su cui poggia ogni società e da cui vengono ricavati anche oggi i principali elementi di sostentamento collettivo.

Con uno studio pubblicato ad agosto, Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali) Piemonte ha voluto indagare il mondo degli imprenditori agricoli e delle aziende rurali. Innanzitutto nel rapporto – che titola proprio: Imprese rurali ed emergenza sanitaria – è stata investigata l’incidenza del periodo marzo-maggio sulla situazione generale: quasi tutti gli intervistati dicono di aver perso almeno il 25-30% del fatturato. Spiega il ricercatore Ires Marco Adamo: «I meno ottimisti per il futuro sono coloro che si occupano di ricettività turistica e somministrazione di alimenti: le imprese che offrono alloggio e ristorazione devono riorganizzare gli spazi per garantire il distanziamento e non tutti pensano di essere in grado di tornare alla capacità originale, con la conseguenza di un impatto negativo sui futuri introiti, pur ipotizzando prezzi costanti per il cliente».

Tra le principali problematiche evidenziate dalle aziende agricole durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, il 23% riporta l’interruzione dei canali di distribuzione, il 19% problemi con le forniture, il 16% difficoltà di spedizione o trasporto dei prodotti. Sul fronte del personale, in Piemonte la pandemia ha provocato la temporanea riduzione di circa un terzo dei dipendenti in servizio (ma si dovrà attendere la fine dell’anno per valutare l’impatto reale, visto il blocco dei licenziamenti). Il 47% di chi ha risposto al questionario di Ires ha inoltre dichiarato che se non ci fosse stata questa emergenza avrebbe assunto nuovo personale. Indagando i settori, si evidenzia come gli alberghi e le attività di somministrazione siano le attività per le quali gli imprenditori prevedono con maggiore frequenza di rinunciare a nuovi dipendenti.

In media, le principali carenze strutturali che riscontrano le aziende riguardano lo spazio interno dei locali (30%) e, in seconda battuta, la mancanza di sistemi di sanificazione (17%); viene, poi, la disponibilità di adeguate attrezzature che il 16,5% dichiara di non avere. Un altro problema, che riguarda l’11% delle imprese, è la penuria di attrezzature informatiche.

Nelle aree rurali il 52% delle attività lamenta proprio l’assenza o la debolezza del segnale, che a volte riguarda addirittura la rete mobile. Infine, lo studio stima il costo per gli interventi utili alla riapertura o alla ripresa: il 10% degli imprenditori non prevede alcun costo, il 58% una spesa fino a 10mila euro; il 17% tra i 10mila e i 20mila euro, mentre il restante 16% pensa a un costo superiore ai 20mila euro. Cifre che per una piccola o media impresa potrebbero risultare gravose.

Chi dovrebbe accollarsi queste spese? Leggendo i dati è possibile intuire il sentimento di solitudine degli intervistati, la loro percezione di abbandono verso la macchina statale e la speranza di ricevere soccorso: l’80% degli imprenditori afferma che per coprire i costi sarebbe utile un intervento pubblico.
Tra questi, il 77% sarebbe disponibile a farsi carico di una quota del costo in cambio delle provvidenze statali o regionali. È come se gli imprenditori lanciassero un messaggio: da soli non possiamo farcela. Uno dei principali responsabili della distanza tra Stato e piccole aziende è individuato nella burocrazia che, spiegano i ricercatori, è «interpretata in modo negativo per il gran numero di documenti che le imprese devono produrre o per i timori che una volta stabiliti i termini di eventuali aiuti questi ultimi vengano erogati con un ritardo eccessivo rispetto alle reali esigenze».

Vino: invece che in fiera il contatto col cliente è on-line

LA STORIA Il lavoro diventa oggi meno corporeo e fisico, acquisendo forme digitali, mentre l’esperienza diretta sfuma ancora di più. Sono alcuni rischi dell’epidemia: un mondo produttivo sempre meno “consistente”, dove clienti e persone non si incontrano e i dipendenti rimangono nelle proprie case. Eppure si nascondono risorse, dato che con lo smart working le persone riguadagnano tempi di vita, la pressione psicologica dell’ufficio diminuisce, la gerarchia appare meno minacciosa. «Il Covid-19 ci ha spinti a muoverci più rapidamente per l’attivazione dell’e-commerce diretto dalla nostra azienda, che sarà attivo entro fine anno e permetterà ai clienti di acquistare i vini sul sito Internet»: lo spiega Lucrezia Povero di Cantine Povero a Cisterna d’Asti, raccontando come il suo universo lavorativo abbia mutato prospettive e strumenti con l’emergenza.

Anche la vita dei dipendenti è cambiata: «Credo che sempre più aziende faranno affidamento allo smart working, magari alternato a giorni di lavoro tradizionale. Ritengo che muterà anche la società, favorendo un possibile ripopolamento delle campagne, permettendo ad esempio agli impiegati delle grandi aziende con sede in città come Milano o Torino di vivere dove desiderano, andando in sede in alcuni giorni».
Anche i produttori di vino stanno assistendo a un radicale mutamento di prospettiva. Lucrezia: «Le fiere all’estero sono state sostituite da incontri B2B (“business to business”, ovvero tra produttore e compratore, ndr), tenuti on-line. Di conseguenza è aumentato il budget per l’invio di campionature ai clienti. I social media hanno preso il posto delle visite in cantina e sono stati strumento per comunicare la cultura aziendale al cliente quando i viaggi e gli eventi non erano possibili. Purtroppo, sarà difficile organizzare di nuovo fiere, importantissime per stabilire un network con altri produttori, per trovare nuovi clienti e studiare le ultime tendenze. Penso che i B2B on-line non potranno mai riprodurre l’atmosfera e la sinergia procurata dal contatto reale con le persone».

m.d.

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