L’ampio consenso al nazifascismo: capirne i motivi con Carlo Greppi

L’ampio consenso al nazifascismo: capirne i motivi con Carlo Greppi

GIORNATA DELLA MEMORIA Carlo Greppi è uno dei tre relatori che interverranno nel corso della conferenza virtuale organizzata dal liceo scientifico Cocito. Storico e scrittore, cofondatore di Deina e membro del comitato scientifico dell’istituto nazionale Ferruccio Parri, ha recentemente pubblicato per Laterza il volume L’antifascismo non serve più a niente, seguito al fortunato Uomini in grigio.

Greppi, come si può parlare ai ragazzi di Auschwitz e della Shoah?

«Non credo esista una formula e neppure la metodologia perfetta. C’è però la necessità di tornare ai fatti, che vanno raccontati senza tentennamenti, senza lasciare zone d’ombra. Credo sia corretto trattare i ragazzi come gli adulti di domani, favorendo una partecipazione attiva, ragionando insieme a loro sui meccanismi che fanno funzionare la memoria pubblica».

L’ampio consenso al nazifascismo: capirne i motivi con Carlo Greppi

Il suo intervento – “Perché abbiamo deciso di ricordare” – su cosa verterà?

«Gli amici e colleghi Francesco Filippi e Tommaso Speccher approfondiranno il tema della memoria collettiva a partire da quanto accaduto in Italia e in Germania dopo la fine dei totalitarismi. Nel mio contributo cercherò invece di ripercorrere i passaggi che hanno portato all’istituzione di una Giornata internazionale dedicata alla Shoah; come e perché questo episodio, centrale nella storia del Novecento, sia divenuto oggetto di memoria pubblica».

Deina, nei suoi laboratori, non approfondisce solo il tema delle vittime…

«Sul paradigma vittimario si è molto scritto. Crediamo che sia altrettanto importante trattare con i ragazzi anche il tema della cosiddetta zona grigia. Perché fascismo e nazismo hanno avuto un così ampio e silenzioso consenso? Lavoriamo a partire da testi come Uomini comuni di Cristopher Browning che si domandano come sia possibile che uomini dalle vite ordinarie si siano comportati come sterminatori seriali o abbiano tollerato certe pratiche. Saremmo capaci anche noi? C’è il rischio concreto che quella stagione terribile possa ripetersi in Europa?».

Come reagiscono i ragazzi a questi argomenti?

«Sentono urgente la necessità di riportare temi e questioni affrontate al loro presente. Incoraggiamo questo esercizio di comparazione perché non c’è dubbio che esistano, anche nel linguaggio del nostro tempo, tracce di intolleranza. Non solo nella chiacchiera da bar ma anche nella retorica politica. E poi grande interesse riscuote anche la questione di come Germania e Italia abbiano fatto i conti con le pagine più nere della propria storia».

Il suo ultimo libro ha un titolo provocatorio, L’antifascismo non serve più a niente.

«È una provocazione che fa riferimento al dibattito in corso nel nostro Paese sull’eredità antifascista. Con questo libro voglio rendere omaggio a una tradizione, quella antifascista, che nell’immediato dopoguerra si è messa al servizio della cosa pubblica, memore di quanto accaduto in Italia durante il Ventennio fascista. Credo che siano proprio questa nobiltà e disinteressato spirito di servizio che mancano drammaticamente alla nostra politica. Devo però aggiungere che si tratta di un progetto editoriale più ampio che proseguirà con volumi curati da altri studiosi. L’intento comune è quello di fare chiarezza sulle grandi questioni che hanno animato l’antifascismo e per farlo occorre tornare al nocciolo fattuale della storia».

Alessio Degiorgis

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