Da Boves la versione della Nostra Signora di Dachau per Alba

LA SCULTURA Dachau, a una ventina di chilometri da Monaco, evoca la memoria del lager nazista che funzionò dal 1933 al 1945.

Dopo un periodo alle carceri Nuove di Torino e al campo di Bolzano, vi visse e morì a 39 anni (avvelenato con una iniezione di benzina) il domenicano Giuseppe Girotti, albese. Reo di aver aiutato ebrei e partigiani, consegnato ai tedeschi dai fascisti a Torino, dal 1995 è Giusto tra le nazioni e beato.

A Dachau dal 1938 al 1945 furono internati 2.579 religiosi cattolici e 141 di altre confessioni e di varie nazionalità: il giornalista francese Guillaume Zeller scrisse La baraque des prêtres, edito in Italia nel 2016 da Piemme con il titolo Block 262830.

Da Boves la versione della Nostra Signora di Dachau per Alba
La statua scolpita da Aldo Pellegrino

Le baracche riservate ai religiosi erano frutto di un compromesso tra nazisti e Vaticano, che prevedeva anche la possibilità di celebrare Messa in una cappella di fortuna nel blocco 26.

Joseph Martin Nathan, vescovo ausiliario dell’arcidiocesi morava di Olomouc, donò un elemento di arredo in grado di trasformarsi in un oggetto di devozione da parte dei prigionieri: una statua lignea della Madonna, conosciuta ora come Nostra Signora di Dachau e conservata nel convento delle Carmelitane costruito su un tratto di mura del campo.

Altre testimonianze ci arrivano dal libro Rue de la libertè, basato sull’esperienza di Edmond Michelet, partigiano francese imprigionato a Dachau che divenne ministro con De Gaulle.

A proposito del luogo di culto, scrisse: «Una statua della Vergine fu posta a destra dell’improvvisato altare; fu chiamata sotto varie invocazioni ma tutti decisero di implorarla sotto il nome di Nostra signora di Dachau».

L’associazione Padre Girotti e il centro culturale San Giuseppe hanno commissionato una copia della statua allo scultore bovesano Aldo Pellegrino. Dal 1° gennaio, Giornata della pace, fino al 27 gennaio l’opera resterà presso l’altare della chiesa di Boves che custodisce le spoglie dei martiri don Ghibaudo e don Bernardi e dove viene ricordato Antonio Vassallo, vittime delle Waffen Ss di Joachim Peiper nell’eccidio del 19 settembre 1943.

Il 6 marzo in occasione della Giornata internazionale dei Giusti tra le nazioni, alle 16, la statua arriverà ad Alba, nella sala dedicata al beato all’interno della chiesa di San Giuseppe. L’arrivo sarà accompagnato dalla celebrazione di una Messa in suffragio di tutti i giusti; la statua sarà benedetta dal vescovo Marco.

«L’opera resterà in San Giuseppe per rimembrare il monito “Ricordare, ma non odiare” che animò buona parte dei reduci dei campi di concentramento tra i quali l’albese Angelo Travaglia», dice Renato Vai dell’associazione Beato Girotti.

Pellegrino, può raccontarci il suo percorso artistico?

«Ho iniziato come apprendista intagliatore a quindici anni, ora ne ho 68: penso di aver accumulato un po’ di esperienza. La scultura l’ho scoperta da autodidatta, poi ho frequentato corsi di perfezionamento. Sono anche un restauratore. All’inizio nella bottega eravamo io e mia sorella, mentre ora sono affiancato da mio figlio. Devo dire di essere stato onorato dalla chiamata per realizzare la copia della statua, non conoscevo la vicenda di padre Girotti. Documentandomi ho scoperto la storia di una persona ammirabile. La mia città fu duramente colpita dal nazifascismo e stiamo portando avanti la causa di beatificazione di don Ghibaudo e don Bernardi, morti mentre tentavano di fermare la carneficina».

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Da sinistra: Giulia Pelassa, Aldo Pellegrino, Roberto Cerrato, Renato Vai, il parroco di Boves don Bruno Mondino e l’ex sindaco Piergiorgio Peano.

Com’è stata realizzata la copia?

«Non potendo, a causa della pandemia, organizzare un viaggio per visionarla di persona, Renato Vai e don Renzo Costamagna mi hanno fornito delle fotografie e insieme abbiamo preparato un bozzetto. L’obiettivo era creare una Madonna dal volto dolce e materno: penso di essere riuscito a realizzarlo. Dopo la morte di don Renzo, Renato ha continuato a passare a trovarmi per vedere l’andamento dei lavori e darmi suggerimenti. L’altezza, 130 centimetri, è uguale all’originale. Ho usato il legno di tiglio, incollando una sull’altra varie tavole per creare un blocco da scolpire ed evitare che, anche a distanza di anni, la statua possa creparsi, come potrebbe succedere usando un tronco. All’interno, per scongiurare quest’ipotesi, ho lasciato un’anima vuota: le fibre restano arieggiate e si conservano nel migliore dei modi. L’originale, probabilmente, è in legno di cirmolo, pianta che ha nodi ogni trenta centimetri. Le rifiniture le ho realizzate con mordenti a cera, senza una policromia ma soltanto usando il mallo di noce con tonalità leggermente diverse. L’incarnato è rimasto più chiaro rispetto al resto, perché non ho voluto dare adito a confusioni: molti sono convinti che si tratti di una Madonna nera».

Davide Barile

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