Il torrone, i crocioni, le celebri eccellenze albesi nell’Ottocento

Il torrone, i crocioni, le celebri eccellenze albesi nell’Ottocento

MEMORIA L’ottima qualità del torrone prodotto ad Alba ancora oggi testimonia la validità di una tradizione secolare. L’essere per antonomasia una delle città produttrici del torrone, ha comportato in passato, tra gli allori, anche il rischio di facili ironie, quasi che fabbricare il toron diminuisse in qualche modo, agli occhi dei più sofisticati torinesi, la considerazione della capitale delle Langhe e dei suoi abitanti.

Nel 1865, per esempio, Il Pasquino, terribile settimanale satirico torinese, canzonava il periodico Gazzetta di Cuneo che aveva riportato una corrispondenza da Alba contenente notizie provenienti dall’Asia, sì, proprio da quell’Alba «città dei torroni, e che non devesi confondere con l’Alba-Longa dei romani».

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Piazza Duomo nel 1870

Allo stesso modo un altro periodico satirico milanese, nel 1888, La Commedia umana stigmatizzava l’assenza a una conferenza romana di Giosuè Carducci dell’albese ministro della istruzione pubblica Michele Coppino, perché «preferì i celebri torroni della sua nativa Alba».

È possibile rilevare che nel Piemonte dell’Ottocento il termine torrone, quasi sempre seguito dalla denominazione geografica di Alba, era diventato parte del linguaggio corrente.

«Chi desiderasse vedere un mostruoso torrone d’Alba fabbricato dal Governo si rechi a contemplare le carceri correzionali (di Torino, nda) recentemente fatte imbianchire dal Ministero con un metodo tutto suo»: così nel 1854, nella rubrica Sacco nero della Gazzetta del popolo Giovanni Battista Bottero, fondatore del giornale, ironizzava sulle scelte estetiche del Governo Cavour.

Monsù Guma, protagonista della commedia di Felice Garelli La felicità ‘d monssù Guma del 1864 piange la sua miseria dicendo «i l’ai le man ant ii cavei, e le miserie ‘d Monssù Travet a paragon dle mie a son ‘d toroni d’Alba».

Non bisogna, tuttavia, lasciarsi distrarre dalle facili battute di spirito: sono stati numerosi i riconoscimenti nel corso del secolo Diciannovesimo elargiti dalle Esposizioni al torrone fabbricato dagli artigiani della nostra città.

Ricordiamo, tra le altre, la “menzione onorevole” accordata nel 1871 alla ditta Revelli e Morsero di Alba all’Esposizione campionaria di Torino curata dalla Società promotrice dell’industria nazionale, «per i loro ottimi torroni e biscotti».

E non possiamo, naturalmente, dimenticare l’attività industriale di successo della ditta Sebaste che dal 1885 opera senza interruzioni a Grinzane.

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Un’antica confetteria torinese

Che la qualità del torrone di Alba fosse comprovata nel territorio subalpino due secoli fa, lo sottolinea nel 1843 anche l’abate Baruffi, sempre poco tenero nel descrivere le condizioni economiche della nostra città.

Baruffi nelle sue Pellegrinazioni autunnali, infatti, dice: «Ma il fatto che più accora il forestiero è la quasi totale mancanza di commercio e d’industria che vedesi in Alba, benché i così detti crocioni e i torroni godano di una quasi celebrità gastronomica in Piemonte».

Notiamo che il Baruffi associa i torroni albesi ai crocioni nella quasi celebrità. E la stessa cosa conferma il neivese Luigi Rocca nel suo libro di viaggio In ferrovia da Cavallermaggiore ad Alessandria del 1870: «I caffè sono otto e nei principali di essi, come pure presso i confettieri, si trovano i così rinomati crocioni e i veri toroni (sic) d’Alba, che in altri luoghi si vogliono imitare, ma che nessuno riesce a fare così gustosi e piacevoli».

Se per il torrone basta la definizione data dal vocabolario del Ponza che rispecchia la ricetta tradizionale albese, e cioè «specie d’ confitura faita con d’amel, e d’ ninsole, e anche d’mandole dousse», desta la nostra curiosità, invece, la composizione di questi crocioni, vanto della pasticceria albese ottocentesca e oggi meno noti.

Vittorio di Sant’Albino, nel suo dizionario piemontese del 1859 afferma che i crocion o cantucci d’Alba sono una «sorta di confortino, ossia quel piccolo pane fatto coll’uovo, zucchero, finocchi e altre spezierie, i migliori dei quali fannosi nella città di Alba».

Allo stesso modo Michele Ponza nel suo vocabolario dialettale del 1847 ricorda il crocion d’Alba nella definizione di confetto o confortino.

Abbiamo un altro piccolo indizio, forse, per capire l’evoluzione del prodotto. All’esposizione agraria industriale di Cuneo del 1871, i caffettieri albesi già nominati, Revelli e Morsero, presentano i soliti torroni di Alba ma anche i «biscotti da campagna detti anisini».

Gli antichi crocioni, variando la composizione di un elemento, l’anice al posto del finocchio, sono diventati nel tempo i più moderni anicini? Lasciamo la soluzione dell’enigma agli specialisti della materia.

Accontentiamoci, oggi, di sognare, dicendo con Gozzano, per qualche istante, «rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!», almeno per assaggiare i prodotti delle celebri botteghe dei confetturieri albesi.

Luciano Cordero

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