Nel 2021, 1.366 persone aiutate nell’Emporio dove gli euro non servono

L'Emporio della solidarietà è stato voluto dalla Caritas diocesana, ora diretta da don Mario Merotta

Nel 2021, 1.366 persone aiutate nell'Emporio dove gli euro non servono
Volontari all'interno dell'Emporio della solidarietà di via Cillario.

SOLIDARIETÀ Aperto nel 2017, l’Emporio della solidarietà madre Teresa di Calcutta si trova in corso Cillario 4. In quegli anni, la Caritas diocesana stava cercando di raggruppare in un unico luogo le funzioni svolte da dalle singole parrocchie o centri diocesani. «È un servizio che si è aggiunto ed è complementare alla rete di solidarietà ben presente già da prima» chiarisce il direttore don Mario Merotta, «entrando in questo negozio dove non si usano soldi, le persone sono aiutate non solo per sopperire alle necessità alimentari, ma anche per imparare a gestire l’economia domestica e a responsabilizzarsi. Spesso gli utenti diventano a loro volta volontari, si crea un circolo virtuoso a tutto vantaggio della comunità». Il sacerdote, nato nel 1978 a Torino, è collaboratore parrocchiale a Monforte e guida l’ente diocesano dal 2019, anno in cui ha ricevuto l’Ordinazione.

La grande rivoluzione di don Mario Merotta 3
Il direttore della Caritas diocesana, don Mario Merotta.

Le tessere di accesso concesse per usufruire dei servizi dell’emporio sono state, nel 2021, 488: in totale, le persone aiutate sono 1.366. Di queste, 687 sono donne. I giovani con meno di quindici anni sono 427, mentre gli ultrasessantacinquenni 92. Continua don Mario: «Rispetto al 2020 i numeri sono abbastanza stabili, mentre, per quanto riguarda gli anni prepandemici, sono raddoppiati. I requisiti per accedere, vagliati da una commissione interna, riguardano soprattutto il valore dell’Isee. Fino a seimila euro l’accesso è garantito, mentre invece, se il valore è più alto, analizziamo caso per caso. A volte, ad esempio, capita che persone indigenti siano proprietarie di vecchi ruderi che, per i calcoli erariali, fanno aumentare questo importo. Il nostro, quindi, non è un semplice ufficio stretto da limiti burocratici. Nel capire le realtà delle persone, ci aiutano molto i vari centri di ascolto. Spesso la povertà non è solo di tipo economico: la mancata integrazione, ad esempio, porta all’incapacità di trovare lavoro e gestire le proprie finanze».

Aiuti arrivati e progetti in cantiere

La burocrazia che i volontari cercano di superare è però rigida per quel che concerne gli aiuti dell’Unione europea: attraverso il programma Fead (Fondo di aiuti europei agli indigenti), le erogazioni di alimenti sono concesse esclusivamente sulla base del limite dei seimila euro di Isee. Nel 2021, al Madre Teresa di Calcutta sono arrivate, via Bruxelles, oltre cinquanta tonnellate di cibo, di cui quasi sette di pastasciutta e tre di passata di pomodoro, 110 ettolitri di latte, ottocento chilogrammi di tonno in scatola e trecento di prosciutto crudo.

Continua don Mario: «Fortunatamente la generosità degli albesi è grande, a chi supera tale soglia è garantito la fornitura attraverso elargizioni di privati e la raccolta di cibo dai supermercati. Il mese scorso, abbiamo lanciato un appello per una colletta straordinaria di prodotti per l’igiene personale e la pulizia: la risposta è stata notevole e questa campagna ha anche lo scopo di delineare alcune iniziative future. “Belli fuori, bellissimi dentro” è il motto scelto, proprio per dare l’idea di una realtà solidale che aiuti le persone a tutto tondo. Il Comune e il consorzio socio assistenziale ci hanno già dato la disponibilità a collaborare, pensiamo di coinvolgere parrucchieri, estetisti, dentisti e psicologi, con l’obiettivo di incentivare le relazioni interpersonali. L’emporio non è un supermercato, bensì un luogo dove le persone si possono incontrare. Abbiamo una quarantina di volontari, i quali operano anche nei diciassette centri d’ascolto sparsi sul territorio diocesano e in quello di prima accoglienza di via Pola. I loro assistiti si presentano all’emporio in giorni stabiliti, proprio per dare continuità ai rapporti umani che si creano».

Tra gli altri progetti in cantiere, uno coinvolge anche l’Apro. Continua il direttore Caritas: «Gli studenti elaboreranno delle ricette semplici e realizzabili con i prodotti forniti dall’emporio, visto che a volte capita che le persone aprano una scatola di tonno e lo mangino così. Continua, poi, In birra Caritas, progetto per la produzione della birra con il pane raffermo che avanziamo. Non sapevamo più come gestire le eccedenze e, grazie al birrificio Alba di Guarene, abbiamo creato questo prodotto, Resurraction. A breve sarà venduta nei negozi e finanzierà le nostre attività. La gestione dell’iniziativa è del gruppo Young Caritas, una decina di ragazzi sotto i trent’anni che ci danno una mano. Infine, assieme alle fondazioni Crc e San Martino e al consorzio socio assistenziale, abbiamo elaborato il progetto Alleanza 2.0,  che propone soluzioni per chi rientra nella zona grigia e non richiede aiuto, vuoi per paura, vergogna o, semplicemente, per non essere al corrente delle opportunità. Tra loro, in molti hanno iniziato ad avere problemi dopo la pandemia».

La storia: Nora, che ha superato le difficoltà grazie alla rete di volontariato

Da un giorno all’altro, le difficoltà economiche possono far precipitare situazioni familiari già fragili e, molte volte, l’uscita è possibile solo attraverso una richiesta d’aiuto. È il caso di Nora, 43enne marocchina in possesso della cittadinanza italiana: «Sono arrivata in Italia nel 2004 in cerca di un lavoro. Il primo permesso di soggiorno l’ho ottenuto a Bolzano e, in seguito, mi sono trasferita a Vicenza da un’amica. Cercavo lavoro come badante, ma in Veneto la crisi era già evidente in quegli anni: appena ho capito che non tirava aria, mi sono trasferita ad Alba, dove una parente mi aveva riferito dell’opportunità di poterla sostituire nella cura di un’anziana per un mese. La famiglia ha però scelto un’altra persona. Il permesso era in scadenza e, senza un contratto, mi sarei trasformata in una clandestina. Fortunatamente, due mesi prima della scadenza, ho trovato lavoro alla Panealba. Sono rimasta lì per quattro anni e, nel frattempo, è arrivato anche mio marito dal Marocco, assunto dalla Rotoalba».

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Nascono le due figlie e per un po’ di tempo la vita scorre tranquilla, ma «a un certo punto , mio marito ha iniziato a non ricevere più il salario. Sette mesi vissuti nella speranza di essere retribuito e poi la beffa: la ditta fallisce, i soldi sono persi. In quel momento la nostra vita è cambiata, prima non avevo idea di cosa fosse l’assistenza sociale e i centri d’ascolto. Mi sono rivolta al Betania e ho trovato un aiuto concreto. Mai siamo stati lasciati soli e voglio ringraziare specialmente Rina Vecchi, che ha preso a cuore il nostro caso. In quegli anni i sussidi statali erano davvero pochi, ora qualcosa sembra cambiato».

Poco alla volta la situazione torna alla normalità e il marito, che oggi ha cinquant’anni, trova un altro impiego. La famiglia continua a frequentare il centro d’ascolto e l’emporio di via Cillario. «Siamo stati circondati da grandi gesti manifestazioni di solidarietà, ma ancora oggi, dallo Stato, non arrivano aiuti. Abbiamo fatto richiesta per la casa popolare ma dal Comune non ci forniscono aggiornamenti. Trovare un’abitazione è stato davvero faticoso: i proprietari degli immobili, vedendo che siamo stranieri, non volevano darceli in affitto. Ci sono stati episodi di discriminazione, alcuni ci hanno chiesto di vedere una busta paga; un altro, invece, ha richiesto una fideiussione bancaria da diecimila euro» conclude Nora.

Davide Barile

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