Valentina Sandroni, l’avvocato albese che ha assistito due lavoratori: anche un materasso in una cascina fatiscente sembra meglio che dormire per strada

Valentina Sandroni, l’avvocata albese che ha assistito due lavoratori: anche un materasso in una cascina fatiscente sembra meglio che dormire per strada 1

CAPORALATO Valentina Sandroni è l’avvocato albese che ha rappresentato la Flai Cgil e due lavoratori al processo cuneese contro il caporalato. Per Gazzetta d’Alba non è consueto mettere la cronaca in rilievo, ma il caporalato è un fenomeno complesso indagato, spesso invano, da tempo, dal nostro giornale.

Sandroni per anni è stata coordinatrice del presidio albese di Libera: oggi lavora tra Torino e Castiglione Falletto. Le sue parole: «È stato un processo molto complicato, perché finora sono stati pochissimi i procedimenti avviati per caporalato nel Nord-ovest. Ed è evidente che si tratta di un terreno aspro e nuovo per tutti, per carenza di giurisprudenza. Per capirne la complessità si deve poi aggiungere anche il clima di omertà e la resistenza culturale radicata verso il fenomeno».

Prosegue Sandroni: «Dal punto di vista umano, comprendo la difficoltà ad accettare l’esistenza del caporalato in una zona con il nostro bagaglio storico e la nostra etica del lavoro. Ma la sentenza parla chiaro».

Valentina Sandroni, l’avvocata albese che ha assistito due lavoratori: anche un materasso in una cascina fatiscente sembra meglio che dormire per strada
Valentina Sandroni

Si tratta di una forma di caporalato, che ha contorni molto caratteristici: «La Granda non è Rosarno, proprio perché il contesto ambientale è assai diverso. I reati non vengono portati ai livelli che si vedono altrove: rimangono all’interno di un sistema di illegalità che viene moralmente accettato dal contesto di riferimento; accadono senza dare troppo nell’occhio. Proprio parlare di contesto è importante: il caporalato è un reato di sistema, che per esistere contamina l’ambiente in cui agisce».

Per esempio, la difesa degli imprenditori ha cercato di descrivere i comportamenti contestati come prassi consolidata da sempre nel settore agricolo, a maggior ragione in un periodo di gravi difficoltà economiche.

L’avvocato albese: «È stato detto che sarebbe una pratica diffusa per le aziende ritoccare la busta paga. E anche che, per quanto non in regola, i lavoratori venivano comunque pagati per ogni ora a cinque euro. Peccato che, tra trattenute e altre somme di denaro che venivano loro richieste, alla fine si trovavano con una cifra inferiore rispetto a quanto sarebbe dovuto». Come hanno ribadito i lavoratori, non ci sono state violenze, ma le minacce facevano presa sulla loro fragilità, in uno scenario in cui il lavoro è fondamentale per più di un motivo: per migliorare la propria condizione di vita, per inviare denaro alla famiglia nel Paese di origine o per i permessi. E il messaggio che veniva fatto passare ai ragazzi era che per loro sarebbe stato impossibile trovare condizioni migliori. Sandroni: «Il livello di fragilità era tale per cui anche un materasso in una cascina fatiscente poteva risultare migliore rispetto al dormire per strada e pertanto ciò che offriva il caporale poteva apparire persino allettante. Senza dimenticare che in pochi hanno una conoscenza dell’italiano sufficiente per districarsi tra contratti e clausole varie».

Sono state fatte emergere le prove. Anni di indagini, ma anche di dialogo con i lavoratori, «per fare comprendere loro che questo sistema non era accettabile: la denuncia è stato un atto di grande coraggio», dice Sandroni, che aggiunge: «Di tutta questa vicenda, mi piace ricordare il modo in cui è nata: dalle storie e anche dall’impegno di tante realtà che hanno saputo intercettarle». Ora gli scenari che si aprono sono interessanti: «Al di là degli aspetti processuali, questa sentenza è storica, perché per la prima volta la parola “caporalato” è stata usata per una serie di reati commessi nella provincia di Cuneo.

Oltre ai lavoratori, le altre vittime di questi comportamenti sono le aziende che operano in modo corretto: sono tantissime e subiscono la concorrenza sleale di chi invece commette reati. Per questo, penso che dovrebbero condannare in modo più fermo questi comportamenti. Mi auguro che questo passo spinga i vari soggetti a sedersi subito attorno a un tavolo di discussione, per lasciare spazio a una riflessione più ampia, in grado di capire i limiti del nostro sistema economico e sociale, l’importanza dell’inclusione dei lavoratori stranieri e la necessità di rispettare la dignità delle persone».

f.p.

Banner Gazzetta d'Alba