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Matteo Mancuso, giovane talento a Monfortinjazz (INTERVISTA)

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Matteo Mancuso durante la sua esibizione a Monfortinjazz.

MUSICA Ad aprire l’edizione 2022 di Monfortinjazz, domenica 10 luglio, è stato il chitarrista palermitano Matteo Mancuso. Classe 1996, il giovane musicista sa spaziare tra diversi generi musicali e alterna strumento classico ed elettrico. Il suo primo album uscirà quest’anno.

Come nasce il suo interesse per la musica?

«Ho iniziato a suonare quando avevo nove anni, indirizzato da mio padre Vincenzo, anch’egli musicista. Più che altro, è stato per me una guida all’ascolto. Alle superiori mi sono iscritto al liceo musicale, iniziando lo studio della chitarra classica e del flauto traverso. Ora frequento il corso di chitarra jazz al Conservatorio. Ho cominciato a suonare e girare l’Italia con gli Snips, mentre ora faccio parte del Matteo Mancuso trio. Nel mio primo album voglio inserire brani miei e pezzi riarrangiati, uniti sotto il filo conduttore della jazz fusion, anche se in realtà non sono propenso a catalogare la musica, scrivo quello che mi va».

Che tecnica usa per suonare la chitarra elettrica?

«Si chiama Finger style, che letteralmente significa suonare con le dita. Semplicemente, non uso il plettro. Di solito lo si fa nelle chitarre classiche: avendo iniziato con tale strumento, candidamente pensavo si facesse così anche per le elettriche. Non sono, comunque, l’unico musicista ad adottare tale tecnica».

C’è un problema in Italia riguardante la cultura musicale?

«Da quello che ho riscontrato, c’è poco interesse per la musica strumentale, mentre aumenta se aggiungi i testi e ti avvicini al pop. In Europa, soprattutto al nord, è diverso. Anche da noi, comunque, la nicchia si sta espandendo. Ho la fortuna di suonare la chitarra, uno degli strumenti più popolari, per cui ci sarà sempre qualcuno interessato a questo strumento».

Il discorso si collega all’insufficiente attenzione data dalla scuola pubblica all’educazione musicale?

«Penso che, nelle ore di musica, si debba porre maggiore attenzione all’ascolto e meno allo studio del flauto. Molti lo vedono come qualcosa di imposto e arrivano a odiare tale strumento. Altre volte, invece, l’approccio è essenzialmente ludico. Se si proponessero brani di tutti i generi, le lezioni sarebbero molto più produttive».

Che significato ha avuto la sua esibizione a Monforte?

«Essere invitato a un festival così prestigioso è stata, per me, una grandissima emozione. Sta accadendo tutto molto in fretta, gli inviti giungono da palcoscenici importanti e ciò ti fa sentire la responsabilità di fare sempre meglio. Con lo scoppio della pandemia è mancato il rapporto con il pubblico, anche se è aumentato il tempo per scrivere e studiare. È stato necessario riabituarsi, ma è solo ricevendo stimoli di questo tipo che un musicista riesce ad andare avanti e migliorarsi».

Davide Barile

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