Ultime notizie

Un’ondata di colore nelle Langhe: David Tremlett

Serravalle Langhe: il marchio di David Tremlett per il soggiorno Boeri 1
Il soggiorno Boeri di Serravalle

L’ITINERARIO Figli di un amore che va avanti da più di venticinque anni tra l’artista britannico David Tremlett e il territorio di Langhe e Roero, gli interventi sono davvero tanti e comprendono anche lavori per privati, che non sono aperti al pubblico. Perciò proponiamo in questa sede un tracciato geografico tra quelli più rappresentativi del percorso umano e artistico dell’eclettico inglese.

Per iniziare, partendo dal centro di Alba, si può fare un rapido salto all’ospedale di Verduno (a 10 minuti d’auto tramite l’A33 e la Sp7) che ospita in realtà il lavoro più recente, chiamato Verduno#1, all’esterno della sala conferenze. Seguendo poi via Castagni, la Sp58 e strada Fontanazza si arriva al capolavoro di questo itinerario, la chiesa della Madonna delle grazie di La Morra, ribattezzata Cappella del Barolo.

La Cappella del Barolo di Sol LeWitt e David Tremlett compie vent’anni
La Cappella del Barolo

Questo è il luogo in cui tutto è nato grazie all’intuizione della famiglia Ceretto che, a fine anni Novanta, decide di far ristrutturare e colorare la cappella sconsacrata, eredità dell’acquisto di sei ettari a Brunate, a due artisti contemporanei: l’inglese David Tremlett, che ne cura l’interno, e l’americano Sol LeWitt, che realizza la facciata esterna (pagati con una fornitura a vita di Barolo). Dopo la visita alla coloratissima chiesetta, divenuta simbolo delle Langhe, è possibile spostarsi a Serravalle scendendo al Gallo e proseguendo per Grinzane, Sinio, Albaretto e infine Pedaggera.

Il paese langarolo è sede di due diversi lavori, entrambi piuttosto recenti: il soggiorno per anziani Boeri, ritinteggiato nel 2021 dagli assistenti di Tremlett, curatore del progetto senza aver potuto visionare i lavori a causa della pandemia, e lo splendido oratorio di San Michele, colorato l’anno prima, in cui gli affreschi tardogotici si uniscono all’arte concettuale contemporanea.

Spostandoci verso Benevello e Mango si arriva a Coazzolo, a 35 minuti di macchina, dove si trova un’altra chiesetta dai colori accesi e dalle linee geometriche che riprendono il tipico panorama, ammirabile dalle panchine nel viale alberato.

Poco distante, a Santo Stefano Belbo, si può invece vedere su prenotazione il lavoro realizzato nella cappella del monastero seicentesco su cui è sorto il relais San Maurizio. Anche qui, sulla collina di Valdivilla, Tremlett ha ridato vita a un antico edificio religioso, sede dei monaci cistercensi, con l’opera Open space del 2019, che mostra il suo personale approccio scultoreo alla pittura.

Un'opera di Tremlett per i 400 anni del monastero di San Maurizio 1
Open space al Relais San Maurizio di Santo Stefano Belbo

David Tremlett: «Questi luoghi mi sono ormai entrati nel Dna»

L’INTERVISTA Negli anni il maestro inglese è stato spesso definito un artista viaggiatore, per aver visitato in lungo e in largo i cinque continenti. Passata la soglia dei settant’anni, due sono diventati i suoi luoghi dell’anima: la Sicilia e il Piemonte.

David Tremlett inaugura la cappella restaurata a Coazzolo. Ecco le foto 14
David Tremlett all’inaugurazione della chiesetta di Coazzolo

Tremlett, in oltre 20 anni ha realizzato molti lavori: si può dire che ha un rapporto speciale con le Langhe?

«Certamente, tutto è cominciato al castello Falletti di Barolo nel 1997. Da allora, dopo aver incontrato la famiglia Ceretto e aver concluso la Cappella del Barolo, ho fatto molti lavori, alcuni interni e altri esterni. Il mio grande assistente Ferruccio Dotta è di Alba e ho anche realizzato etichette vinicole per aziende locali: il risultato è che le Langhe ora sono entrate nel mio Dna».

Ha lavorato spesso su edifici religiosi dando loro nuova vita. L’arte può dare nuovo significato all’ordinario?

«Non si tratta di casi ordinari, visto che molti di questi luoghi sono davvero speciali. È il desiderio e la sfida di trovare un edificio abbandonato, trascurato o insignificante e di convertirlo in qualcosa di vistoso e stimolante, che possa diventare un punto di riferimento sulla mappa del territorio, al contrario di una reliquia».

Il colore contraddistingue tutte le sue opere, perché?

«Il colore ha molte funzioni, può essere sensuale o emotivo, audace e drammatico. Può anche delineare una forma, enfatizzando altezza, lunghezza, angoli. Cerco di usarlo in questa maniera più architettonica, come uno scultore e non un pittore. Il colore diventa a tutti gli effetti un materiale come argilla, intonaco o pietra: una nuova superficie».

Quanto conta l’aspetto emotivo e quanto l’hanno ispirata le colline langarole?

«Io non creo per stimolare emozioni, ma inevitabilmente quando un lavoro è completo, le crea: se positive o negative questo dipende sempre dall’osservatore. L’ambiente dove molte di queste opere sono ora situate è stato estremamente importante nell’idea originale».

Quanto conta la musica nella creazione?

«Ho sempre fatto un gran mix: ascolto musica africana (dalla Nigeria allo Zaire), il primo Blues americano, l’opera di Verdi e Puccini e musicisti moderni come Ry Cooder e M. Ward. Infine la musica di Steve Reich, Brian Eno e il trombettista John Hassel, ma potrei andare avanti. In genere lavoro con la musica e il legame con quello che faccio è l’elemento seriale. C’è sempre un altro disegno che segue l’ultimo».

Lei è anche fotografo, come valuta che i turisti vengano a fotografare i suoi lavori?

«In verità, faccio foto come molte altre persone. Negli anni Sessanta e Settanta mi cimentavo con il bianco e nero e devo dire che i risultati non erano buoni. Ora la mia fotografia serve per registrare il lavoro, nulla di grande valore. Il fatto che i visitatori usino questi posti come sfondi, mi lusinga anche perché questi edifici, un tempo poco spettacolari, sono ora memorabili e degni di foto. Anzi sono molto vistosi e stimolanti!». 

L’albese Ferruccio Dotta è l’assistente dietro al lavoro del britannico

I colori di David Tremlett sulla chiesa campestre
Alcuni collaboratori di Tremlett a Coazzolo (sulla destra Ferruccio Dotta)

LA STORIA La Cappella del Barolo non è stato solo il lavoro che ha lanciato David Tremlett nelle Langhe, ma è stata anche la prima volta in cui ha conosciuto quello che sarebbe presto diventato il suo uomo più fidato: Ferruccio Dotta. «Dopo aver smesso con la facoltà di scienze politiche nell’87, ho viaggiato per un po’ e conosciuto artisti. Poi, quasi per caso, un amico mi chiede di aiutarlo al castello di Barolo e mi fa conoscere David, un bel tipo», racconta l’albese.

Da lì inizia un sodalizio che lo porta a diventare il braccio destro del britannico: «Quando David finisce il progetto, il problema passa a me. Siamo in quattro: oltre a me, il cinese Li Zhao, il padovano Nicola e la napoletana Bianca. Ho formato questo gruppo negli anni: lavorando in strutture e musei spesso ti affiancano studenti dell’accademia che devono fare crediti. Di questi ho scelto i migliori». Lo staff di Ferruccio è anche l’unico al mondo adibito alla manutenzione delle opere di Tremlett data la particolare tecnica: «All’esterno usiamo colori acrilici e all’interno pastelli di pigmenti pressati che poi vengono stesi a mano con un moto circolare: è un lavoro che ti spacca le mani. Poi fissiamo il colore tramite resine». Una tecnica inventata da Tremlett a fine anni ’60 che si è consolidata nel tempo, piuttosto complicata da eseguire: «Ero abituato a lavorare con le terre e capire come rimediare con il pastello non era facile, perché non puoi tornarci sopra come con il colore, ti tocca toglierlo oppure riverniciare l’intera sezione».

A volte si possono presentare anche alcune difficoltà tecniche: «Il pastello lavora come un negativo, quindi il muro non deve essere “pacioccato”. Per esempio, a Londra nell’edificio Bloomberg spuntavano macchie d’olio che non capivamo da dove uscivano. Abbiamo dovuto mascherare con la resina e nei punti più a vista stuccare e rimbiancare».

Di Tremlett racconta: «Il suo pensiero è estremamente concreto, parte da una forma: per esempio da un ingranaggio meccanico, dai palazzi di una città o, nel caso di Coazzolo, dai vigneti e dai colori autunnali». Sempre entusiasta, a volte però dice no: «È accomodante, vuole sempre capire e conoscere, ma capita che rifiuti lavori se non gli piacciono l’idea oppure l’accoglienza».

Chi è: l’artista inglese che ama l’Italia

Scultore nato a St Austell, in Cornovaglia, nel 1945, David Tremlett si è formato alla Scuola d’arte di Birmingham e al Royal college of art di Londra. Artista girovago, anche se vive e lavora in Inghilterra, inizia a esporre alla fine degli anni Sessanta: sua è l’invenzione della tecnica del wall drawing. Vanta esposizioni e interventi importanti, come quelli alla Tate gallery e al palazzo Bloomberg di Londra, al Centre Pompidou di Parigi e al Moma di New York. In Italia arriva grazie alla gallerista Marilena Bonomo esponendo a Bari nel 1976: la prima collaborazione langarola insieme alla famiglia Ceretto risale invece al 1997. 

Lorenzo Germano

Banner Gazzetta d'Alba