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All the Beauty and the Bloodshed si aggiudica il Leone d’oro del festival di Venezia

La premiazione

VENEZIA Dopo undici giorni di grande cinema, suggestioni, sorprese e anche alcune delusioni, è giunta la cerimonia di premiazione che ieri sera (sabato 10 settembre)  ha visto sfilare sul red carpet registi, attori e influenti personalità internazionali di tutto rispetto.

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Laura Poitras regista del film Leone d’oro col film All the Beauty and the Bloodshed

Il Leone d’oro per il miglior film viene assegnato al film All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras che narra la la storia epica ed emozionante dell’artista e attivista di fama internazionale Nan Goldin, raccontata attraverso diapositive, dialoghi intimi, fotografie rivoluzionarie e rari filmati, della sua battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da farmaco. «Ringrazio il Festival per aver compreso l’importanza del film. Dobbiamo pensare che il personaggio del film è ancora in prigione. Il mio intento era affossare la famiglia che ha ucciso molte persone», ha dichiarato la regista alla consegna del premio.

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Alice Diop regista del film Leone d’argento gran premio della giuria Saint Omar

Saint Omar di Alice Diop si vede assegnare il Leone d’argento gran premio della giuria e il premio Leone del futuro opera prima Venezia. La protagonista del film segue il processo di una madre che ha ucciso la propria figlia di quindici mesi e quello che emergerà dal dibattimento metterà in discussione anche la nostra capacità di giudizio. Per la regista, ricevere questi premi ha una importanza notevole «come donna nera in quanto rappresenta anche un messaggio politico».

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Luca Guadagnino Leone d’argento per la migliore regia Bones and all

Il Leone d’argento per la migliore regia va a Luca Guadagnino col film Bones and all, che vede al centro della pellicola il primo amore tra Maren, una ragazza che sta imparando a sopravvivere ai margini della società, e Lee, un vagabondo dai sentimenti profondi. Per Guadagnino «fare film è sempre stata la mia vita. Il cinema che non conosce geografia non conosce confini. Dedico il premio ai registi iraniani arrestati».

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Gli attori protagonisti del film No bears vincitore del Premio speciale giuria del regista Jafar Panahi

Un lunghissimo applauso per l’assegnazione del Premio speciale giuria al regista iraniano Jafar Panahi col film Khers nist (No Bears), da cui emergono la forza della superstizione e le dinamiche del potere. Il premio è stato ritirato dai due attori principali perché il regista si trova in carcere nel suo Paese e commentano: «Siamo onorati nonostante la mancanza del regista. Tutti noi ci battiamo per il potere del cinema libero e per lui».

Per la sezione Orizzonti il premio come migliore film viene assegnato al film Jang-e jahani sevom (Terza guerra mondiale) dell’iraniano Houman Seyedi, critica ai regimi totalitari. Il regista si dice onorato del premio che dedica al popolo iraniano.

Si conclude così la 79ma Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nella quale sono stati selezionati moltissimi film, alcuni dei quali anche di durata considerevole, dove il rapporto genitori e figli e l’attenzione per le grandi problematiche sociali hanno fatto da sfondo all’intero festival.

L’ultimo giorno di proiezioni

L’ultimo giorno della 79ma edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia vede presentato il film fuori concorso The hanging sun del giovane regista italiano Francesco Carrozzini, importante fotografo e autore di video musicali. Il cast vede un bravo Alessandro Borghi nei panni del protagonista John in un thriller noir tratto dal romanzo Sole di mezzanotte di Jo Nesbo, che mette al centro il conflitto padre-figlio in un festival in cui la relazione tra genitori e figli è centrale.

John è in fuga dopo aver tradito suo padre, un boss criminale. Inseguito da suo fratello,  si dirige verso l’estremo Nord. Arriva in un villaggio isolato, dove il sole non tramonta mai, con una piccola comunità dalle severe regole religiose, che sembra appartenere a un altro tempo. Qui incontra Lea, una donna in difficoltà ma dalla grande forza, e suo figlio Caleb, un bambino curioso e dal cuore puro. Anche Lea ha i propri demoni: la morte in mare del suo violento marito Aaron. Con il passare dei giorni i tre si avvicinano. Per Lea, John è il primo uomo in grado di darle protezione, senza privarla della sua libertà, per Caleb è un’insperata figura paterna a cui raccontare il proprio mondo, e lo stesso John sembra intravedere in questo incontro la possibilità di una redenzione e di una nuova vita. Inevitabilmente, iniziano a sentirsi come una nuova famiglia.

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Quando John si trova in trappola con il fratello ormai sulle sue tracce e il fratello di Aaron mette gli occhi su Lea, i due dovranno trovare il modo per spezzare i legami con il proprio passato e ricominciare. «Tutto il lavoro che ho fatto su me stesso, e di riflesso sul film, è stato un percorso accidentato, sorprendente e di grande catarsi, durante il quale sono diventato padre e ho imparato cosa voglia dire essere figlio», commenta il regista. Per Carrozzini è stata l’occasione di realizzare il sogno di una vita e con The hanging sun l’ha visto realizzarsi, direi anche in modo lodevole. Belli gli scenari di una rarefatta estate norvegese, i primi piani espressivi dei personaggi e le musiche scelte.

All the Beauty and the Bloodshed si aggiudica il Leone d'oro del festival di Venezia 8 Il regista, già Premio Oscar, Oliver Stone porta a Venezia il nucleare col suo docufilm fuori concorso Nuclear. In un momento di crisi in occidente a causa dei tagli delle forniture di gas da parte della Russia come ritorsioni sulle sanzioni successive al conflitto con l’Ucraina, Stone riflette su un’altra fonte di energia molto dibattuta. «Si fa una grande confusione tra guerra nucleare ed energia nucleare: il pericolo viene dalle radiazioni della guerra nucleare e dai disastri causati dal cambiamento climatico, non dalle centrali atomiche, che sono sicure e generano energia più pulita del carbone e del petrolio», dichiara il regista ai giornalisti.

Non ha dubbi Oliver Stone dopo aver ottenuto un permesso speciale per visitare le centrali nucleari di Stati Uniti, Francia e Russia e dopo aver parlato con esperti e studiosi. Nel docufilm viene ripercorsa la storia del nucleare partendo dal suo utilizzo bellico per poi passare a quello civile senza tralasciare le molteplici polemiche in parte alimentate dai cartelli petroliferi che vogliono affossare questa fonte di energia per non perdere la loro leadership a livello mondiale. «Il cambiamento climatico ci ha costretto brutalmente a ripensare i modi in cui produciamo energia. Quella nucleare è centinaia di volte più sicura dei carburanti fossili e gli incidenti sono estremamente rari. I pericoli delle radiazioni sono infinitamente inferiori a quelli causati dal carbone, responsabile di mezzo milione di morti all’anno», sostiene il regista rispondendo alle domande sulla sua scelta controcorrente.

All the Beauty and the Bloodshed si aggiudica il Leone d'oro del festival di VeneziaIl regista brasiliano Sérgio Tréfaut porta a Venezia per la sezione Orizzonti il suo film A Noiva (The Bride). Un’adolescente europea è fuggita da casa per sposare un combattente di Daesh ed è diventata una sposa della Jihad. Tre anni più tardi, la sua vita subisce un cambiamento drammatico: si ritrova a vivere in un campo di detenzione iracheno. Ora deve occuparsi di due figli ed è nuovamente incinta. Ha vent’anni, è vedova e sarà presto processata dai tribunali iracheni. Che effetti hanno avuto su di lei l’esperienza della guerra e del lavaggio del cervello?

Nel 2012, il regista ha deciso di recarsi in Iraq appena l’esercito americano aveva lasciato il Paese, ma ancora esplodevano bombe e imparava la violenza. «Stavo progettando un documentario che mostrasse l’ipocrisia della teoria dello stato americano secondo la quale libertà mediatica ed elezioni libere avrebbero contribuito a far diventare l’Iraq un Paese democratico e pacifico. Ho avuto l’opportunità di viaggiare tra Mosul e Baghdad, spingendomi verso Sud e poi fino in Kurdistan». Però il suo progetto documentaristico è naufragato con l’arrivo dell’Isis e l’occupazione di Mosul. Sconvolto dal numero sbalorditivo di persone provenienti dall’Europa occidentale che si univano ai combattenti stranieri di Daesh, ha spinto Tréfaut a realizzare questa pellicola. Un film impegnativo, profondamente toccante, mai scontato, dove emerge la distruzione e lo sconforto che solo una guerra può lasciare e che il regista rende bene con il costante e disperato pianto dei bambini; cercando di offrire allo spettatore le motivazioni che spingono queste giovani a lasciare le loro case per unirsi ai combattenti jihadisti di Daesh.

Walter Colombo

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