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Una mattina in corsia nel pronto soccorso dell’ospedale Ferrero

Una mattina in corsia nel pronto soccorso dell’ospedale Ferrero

IL REPORTAGE Il pronto soccorso è un campo di battaglia: per rendersene conto, all’ospedale Michele e Pietro Ferrero, non è sufficiente rimanere all’esterno, bisogna varcare la barriera del triage ed entrare nelle sale dove si trovano i pazienti, in un movimento continuo di barelle, medici, infermieri e operatori sociosanitari.

Per comprendere la quotidianità degli utenti, anche in seguito ad alcune lettere ricevute, nelle scorse settimane, da Gazzetta d’Alba, circa i tempi di attesa eccessivi, ci siamo recati al Dipartimento di emergenza urgenza e accettazione (o Dea, sigla tecnica che identifica il pronto soccorso, ndr) di Verduno per qualche ora. Il primo contatto è con la sala di attesa: alle nove e mezza di lunedì 5 settembre, c’è già la fila davanti allo sportello dell’accoglienza. Nella saletta a fianco, dove attendono i pazienti che hanno già un codice, i posti occupati superano ampiamente quelli ancora liberi.

A chiarire subito la situazione è Massimo Perotto, direttore del reparto: «I giorni peggiori sono il lunedì e il venerdì, quando registriamo il maggior numero di ingressi». Quarant’anni, arrivato al Ferrero nel pieno dell’emergenza Covid-19, Perotto è stato chiamato, lo scorso giugno, a dirigere il reparto. Un incarico per nulla semplice, affrontato, fin da subito, con grande impegno, anche se i mutamenti non possono aversi immediatamente e le varianti con le quali fare i conti sono tante.

ACCESSI IN RISALITA

«Rispetto al 2021, fino a oggi abbiamo registrato il 22 per cento di pazienti in più. È un andamento in linea con gli altri pronto soccorso piemontesi», prosegue Perotto. Il motivo è semplice: il Covid-19 ha cambiato il rapporto tra persone e ospedali, percepiti, fino allo scorso anno, come luoghi da evitare, per il rischio di contagio. Così, «arrivavano solo le emergenze reali, ma la pandemia ha avuto come conseguenza un calo delle diagnosi, con effetti negativi sulla salute delle persone».

Oggi il reparto è tornato a essere quello di sempre, con il sovraffollamento e tutte le problematiche con cui da decenni fa i conti il sistema sanitario italiano, sul fronte della medicina d’urgenza. «Nel nostro caso, i codici rossi e arancioni non superano il dieci per cento del totale». Il colore si assegna all’ingresso, dopo una prima valutazione e, dallo scorso anno, ci sono novità: oltre ai due codici di maggiore intensità, è stato aggiunto l’azzurro, che rappresenta un’urgenza differibile. Si distingue dal verde, assegnato a pazienti in condizione stabile di minore urgenza, e dal bianco, che identifica un problema di salute con minima rilevanza clinica. «I codici verdi sono circa il 75 per cento del totale degli accessi: tantissimi, se si pensa che in un giorno abbiamo in media 146 pazienti e, nei giorni di picco, si arriva a 190».

Da inizio 2022, aggiunge Perotto, «abbiamo registrato 35.500 accessi: per fine anno ci attendiamo di arrivare a 52mila, 10mila in più rispetto al 2021. Sono numeri da grande ospedale, molto complessi da gestire».

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Il direttore Massimo Perotto

TROPPI CODICI VERDI

Il discorso dei codici è collegato a quello dei tempi di attesa. Spiega il direttore del Dea: «I codici rossi hanno l’accesso diretto, in meno di un minuto. I tempi aumentano man mano che diminuisce l’urgenza: per esempio, un arancione di solito attende 15 minuti dall’arrivo. In questo scenario, è utopico pensare che un codice verde o bianco venga preso in carico in tempi altrettanto brevi».

Nel suo ufficio Perotto tiene costantemente acceso il monitor del computer sulla pagina che riporta lo stato del reparto, con l’elenco dei pazienti in attesa, la valutazione e i tempi. «In questo momento ci sono una ventina di persone, tutti codici verdi e un azzurro. La situazione è abbastanza scorrevole, ma di certo arriveranno emergenze che dilateranno ampiamente le tempistiche dei casi non gravi. Il pronto soccorso si fa carico di tutti, ma è necessario armarsi di pazienza, quando si arriva in modo inappropriato».

Con questo termine il sanitario si riferisce a chi in realtà dovrebbe rivolgersi altrove: «Abbiamo moltissimi casi di persone che vengono da noi per problemi di salute, portati avanti per settimane o perché lamentano condizioni non rientranti nel range delle urgenze. Sono i classici casi in cui ci si dovrebbe rivolgere ai medici di famiglia». La medicina territoriale, però, ha anch’essa le sue difficoltà e spesso non è immediato mettersi in contatto con il proprio medico. «Sono tutti livelli collegati e l’ideale sarebbe lasciare al pronto soccorso solo le urgenze: oggi tuttavia mi rendo conto che non sia possibile». In ogni caso, Perotto ha scelto di introdurre una prima novità: insieme ai 4 medici che coprono i turni giornalieri, è presente un sanitario assegnato ai codici minori, così da diversificare le situazioni.

MANCANO 6 SANITARI

Il sovraffollamento del pronto soccorso, per gli accessi inappropriati è solo una delle criticità: fra le altre, pesa la carenza cronica di medici urgentisti, con i concorsi che vanno deserti. «Reparti come il nostro fanno i conti con 2 o 3 dimissioni all’anno, perché i medici già in servizio preferiscono proseguire su altre strade, mentre i giovani scelgono altre specializzazioni. A livello di personale restiamo a galla e siamo uno dei pochi pronto soccorso a non ricorrere alle cooperative private per coprire i turni: per ora ci supportano i colleghi di altri reparti, ma il lavoro è molto impegnativo», ammette il direttore.

Con lui, sono 14 i medici in servizio: di notte sono 2, come è prassi in quasi tutti i Dea di primo livello del Piemonte e come prevede la legge. «I carichi di lavoro sono elevati, le ferie sono adeguate per le norme ma oggettivamente insufficienti per recuperare il livello di stress molto alto: per essere in una condizione migliore, ci servirebbero almeno 19 medici in organico, ma sembra impossibile trovarne».

E anche infermieri e Oss non sono certamente in abbondanza, come spiega Pierluigi Tarable, coordinatore infermieristico dallo scorso aprile: «Si lavora tanto, anche se da fuori forse è difficile rendersene conto. Il reparto è come una macchina con numerosi ingranaggi: dovrebbero essere sempre perfettamente incastrati, ma a volte è inevitabile che qualcosa si inceppi, proprio per la sua complessità».

BARELLE NEI CORRIDOI

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Il coordinatore infermieristico Pierluigi Tarable

Verso le dieci, le sale sono piene, e anche alcuni corridoi: nelle ultime settimane il Dea è stato al centro dei lavori di ristrutturazione, voluti dall’Azienda ospedaliera per facilitare i percorsi dei pazienti. Verranno ricavate due aree: la shock room per gli arrivi in codice rosso, con postazioni numerate e più funzionali, e un’area da sei posti per quelli arancioni, anche in questo caso più pratica e accogliente.

Fra qualche giorno, spiega il direttore Perotto, le nuove sale saranno utilizzabili: il prossimo passo investirà, «l’area in cui si trovano le persone già valutate, tenute in osservazione per 4 o 5 ore, fino al momento delle dimissioni», una zona molto critica, perché non c’è privacy e i degenti finiscono in barella nei corridoi, uno vicino all’altro. «Credo sia impossibile togliere del tutto le barelle: non si può prevedere il fabbisogno di postazioni; a volte arriviamo anche a una ventina di persone, nei momenti di picco».

Oggi la situazione appare poco decorosa, anche perché si notano parecchi anziani in attesa, «una quota importante degli accessi, soprattutto in questi mesi caldi e le temperature elevate raggiunte quest’anno», aggiunge il sanitario. Questi ultimi «sono tra i pazienti più complessi, perché sono quasi sempre affetti da patologie croniche e l’esperienza del pronto soccorso, per loro, è molto pesante, anche a livello emotivo».

Ai locali si aggiunge poi l’Osservazione breve intensiva (Obi secondo la sigla tecnica in uso, ndr), dove si resta per un periodo massimo di trentasei ore in osservazione e altri 2 posti di terapia subintensiva: si tratta delle postazioni monitorate, per i pazienti in attesa di essere ricoverati in altri reparti. In altre sale si trovano la radiologia, gli ambulatori e altre zone di collegamento.

ALLESTITI NUOVI SPAZI

Sembra un labirinto, il pronto soccorso di Verduno: gli spazi non mancano, tanto che è persino difficile presidiarli tutti. Le sale sono tante, a volte più piccole di quanto ci si possa aspettare. Si ha l’impressione che l’ospedale, aperto due anni fa dopo un’attesa infinita, abbia bisogno di un restyling, per adattarsi alle nuove esigenze. Insieme all’Asl è al lavoro la fondazione ospedale Alba-Bra, trasferitasi al Ferrero: i risultati si vedono già, nel reparto, dove entrerà in azione un gruppo di volontari – collocati all’ingresso – per accogliere le persone in difficoltà, indirizzarle nei vari percorsi o accompagnarle in altri settori.

Sono una sessantina le persone formate, in corsia fra le 10 e le 22, divisi in turni svolti da gruppi di 2 o 3 persone. Per il direttore della fondazione Luciano Scalise, «è un servizio che mancava. Quando si è in difficoltà sentirsi accolti e avere da subito punti di riferimento chiari è rassicurante».

È partito anche un secondo progetto riguardante la segnaletica e, in generale, la percezione degli spazi: il termine tecnico è wayfinding design, una novità a livello nazionale, in ambito ospedaliero. La camera calda del Ferrero, cioè il punto in cui arrivano le ambulanze e le auto che scaricano i pazienti, è interessato dal progetto: «Sono stati cambiati i colori e rinnovata la segnaletica orizzontale, verrà aggiunto anche un portale, in prossimità dell’ingresso, per prevenire il fenomeno dei parcheggi selvaggi delle auto».

È stata ultimata la nuova sala d’attesa per i familiari, vicino al corridoio che porta agli ascensori: una seconda stanza sarà realizzata in un’altra saletta. Sono terminati anche gli interventi nella shock room e nelle altre aree, rinnovate con la delimitazione delle postazioni e la scelta dei colori per «rendere più vivibili gli spazi utilizzati, pensando al comfort delle persone. Installeremo postazioni per il caricamento del cellulare e rinnoveremo l’accoglienza con un bancone più adatto», conclude Scalise.

100MILA EURO INVESTITI

Centomila euro è la cifra investita dalla fondazione: Giulio Bertagna, architetto e designer percettologo, la persona scelta per seguire il progetto. «Parliamo di qualcosa di unico in Italia: puntiamo a umanizzare non solo il rapporto tra curanti e pazienti, ma anche quello fra questi e l’ambiente. Un ospedale non è un luogo qualsiasi: servono colori e una segnaletica a misura di persona, studiati secondo criteri ben definiti».

Bertagna ha fatto ricorso allo stesso approccio anche nel reparto di radioterapia: «Un quadro su una parete bianca non apporta benefici, mentre un muro con determinati colori può stimolare la fantasia e aiutare le persone a svagarsi. Un malato può trascorrere anche molto tempo in ospedale, ma bisogna aiutarlo ad andare oltre le mura che lo circondano».

 Francesca Pinaffo

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