Stagflazione: il rischio è concreto in Granda (REPORTAGE)

Stagflazione: il rischio è concreto in Granda (REPORTAGE)

ECONOMIA Sono molti gli studiosi che reputano l’attuale modello economico insostenibile, perché responsabile di produrre disuguaglianze estreme senza valorizzare le competenze ma anzi generando precarietà e favorendo meccanismi clientelari nei quali è più importante il conoscere rispetto al saper fare. L’assetto attuale produce anche enormi danni ambientali e crisi frequenti, con periodi di instabilità. Abbiamo domandato al vicepresidente della fondazione Crc, Francesco Cappello quale sia la situazione nella Granda: «Nel Cuneese le principali difficoltà derivano dal progressivo manifestarsi di un contesto di pericolosa stagflazione, una congiuntura economica semisconosciuta, finora poco “sperimentata” sul campo e teorizzata dal Premio Nobel Milton Friedman. Si tratta di una condizione caratterizzata da un’alta inflazione e scarsa o nulla, oppure addirittura inesistente, crescita».

Un altro rapporto pubblicato da Confindustria Piemonte a metà settembre mette in luce come in regione le piccole e medie imprese nel 2007 fossero 10.651, mentre nel 2020 erano 10.720, con una variazione positiva di 0,7 punti. Si tratta, per un verso, di una luce nel buio, segno di un sistema economico vitale e creativo, nonostante la pandemia e le recessioni. Il problema è che queste imprese appaiono poco “solide”: nel 2019 il 44 per cento di esse era considerato “sicuro”, nel 2021 soltanto il 27. Le realtà “vulnerabili”, invece, erano il 15 per cento nel 2019: nel 2021 sono salite al 27.

Alberto Biraghi nella squadra di presidenza della Piccola Industria di Confindustria a Roma
Alberto Biraghi

Da un punto di vista quantitativo, ha spiegato il presidente della sezione Piccola industria di Confindustria Piemonte Alberto Biraghi, «l’analisi delle Pmi della nostra regione evidenzia una capacità di reazione e ripresa, da parte delle realtà datoriali, migliore rispetto alla media italiana. La capacità di resistenza e le risorse di capitale delle aziende hanno anche impedito, fino a ora, che gli aumenti di energia e materie prime arrivassero al prezzo finale dei prodotti».

Il tessuto locale è più vivo e capace di sopportare i periodi critici, con minori sofferenze rispetto al resto del Paese. Ora però, prosegue Biraghi, «la strada si è fatta stretta, sono sempre più numerosi i colleghi imprenditori in difficoltà: se si continua così si mettono a rischio intere filiere, dall’agroalimentare all’automotive, dal tessile ai servizi». Da oltre un anno, infatti, gli imprenditori segnalano «l’escalation dei prezzi dell’energia e del gas, ben prima dell’avvio della tragica guerra scatenata dalla Russia. Le risposte, però, sono arrivate in ritardo e hanno avuto un respiro nazionale anziché europeo, come sarebbe stato auspicabile. Senza contare che molti imprenditori si trovano ora nella paradossale condizione di dover iniziare a restituire gli aiuti avuti durante la pandemia, e hanno da pagare bollette quintuplicate, se non decuplicate, in alcuni casi».

Non basta più osservare gli indicatori “oggettivi” per valutare lo stato di salute del sistema produttivo: per tramutare le difficoltà in opportunità servono nuove forme di economia solidale, su scala locale, meno centrate sul prodotto e più sulla persona.  

Imprese: in regione positivo il saldo fra chiusure e nuovi avvii

Nel numero 75 della rivista Politiche Piemonte, periodico dell’istituto di ricerca Ires pubblicato a fine settembre, la responsabile dell’ufficio studi e statistica di Unioncamere Piemonte Sarah Bovini osserva che, nel 2021, l’economia italiana stava procedendo a gonfie vele e il Pil del Piemonte si attestava attorno ai 136 miliardi di euro, valore superiore ai 126 del 2020 ma ancora al di sotto di quello del 2019.

All’inizio di quest’anno si è assistito a un rallentamento, ma i dati sono ancora positivi. Spiega infatti la ricercatrice: «A fine giugno 2022 esistevano 428.422 imprese: il Piemonte è in settima posizione tra le regioni italiane. Il bilancio tra nuove iscrizioni e cessazioni segna un tasso di crescita dello 0,41 per cento e tutti i comparti mostrano delle tendenze positive, in particolar modo quello edile, i servizi e la filiera turistica. Stabili appaiono commercio, industria in senso stretto e agricoltura: il 2022 è iniziato con il piede giusto anche per l’industria manifatturiera piemontese».

L’avvio del 2022 è positivo, ma il Pil e il numero di aziende totali sono parametri limitati e parziali, incapaci di raccontare il reale stato di benessere delle persone. Conclude Bovini: «Restano tante le incognite per il futuro prossimo. Lo scenario generale è complesso, con la pandemia ancora presente, la carenza di materie prime, il caro energetico, la guerra e non ultimo l’instabilità politica, fattori che potrebbero attenuare o arrestare la ripresa in corso».

Ogni elemento è connesso, pure in un mondo di confini e frontiere: ciò che accade altrove produce sommovimenti persino fra le colline di Langhe e Roero e viceversa. Ricordare il principio di interdipendenza tra esseri umani, a prescindere dalla distanza geografica tra loro, aiuta a immaginare modelli economici e imprenditoriali meno autoreferenziali, più orientati al mutualismo e capaci di tenere conto delle variabili immateriali e relazionali.

Salari diminuiti negli ultimi 20 anni

Presentato, nella sede dell'ente turismo, il progetto delle Passeggiate gourmet di Confartigianato 4
Francesco Cappello, vicepresidente fondazione Crc.

Con Francesco Cappello, vicepresidente della fondazione Crc mettiamo a fuoco le condizioni dell’economia Cuneese, alla prese con una situazione di stagflazione.

Alta inflazione e bassa prospettiva di crescita futura: cosa ha causato l’andamento attuale?

«È la conseguenza delle politiche ultra-accomodanti delle banche centrali degli ultimi anni e della crisi energetica, dovuta sì alla guerra in Ucraina ma anche alla speculazione dei mercati finanziari sull’immensa quantità di “carta commerciale” in circolazione, rappresentante i vari prodotti energetici. È arduo far rientrare a breve il tasso inflattivo: sarebbe un poco come premere per far uscire da un tubetto il dentifricio e poi pretendere di farlo rientrare con facilità. I nuovi tassi di interesse stabiliti dalle banche centrali sono in fase di netta crescita (e probabilmente continueranno a esser tali), per combattere l’inflazione dopo anni di ubriacatura “a tasso zero”, con gravi problemi di gestione dei debiti, sia per le imprese che per le famiglie».

Cosa aspettarsi dai prossimi mesi e quali sono i passi per mantenere un certo equilibrio?

«I prossimi mesi potranno risultare problematici per le aziende e, conseguentemente, per l’occupazione. Nel campo del risparmio vedremo consolidarsi e probabilmente peggiorare ancora il calo cospicuo del valore dei bond a tasso fisso anche statali, e ci troveremo davanti a una possibile instabilità generale sui mercati azionari. Assisteremo ancora a una ripresa importante del valore degli immobili e di altri beni reali (in parte purtroppo anche di certe “commodities”, se la guerra in Ucraina non si risolverà) come taluni metalli e beni rifugio, per esempio vini pregiati e da collezione o opere d’arte».

Che fare dunque?

«Occorrerà porre la massima attenzione alla gestione del debito aziendale e familiare: per sfruttarne le potenzialità positive si potrebbe fare attenzione agli ambiti economici di grande valenza innovativa, in campo sia tecnologico – dall’energia rinnovabile alla “space economy” – che finanziario, a partire dalla finanza digitale che presto verrà “sposata” in certi suoi aspetti anche dalla Banche centrali con l’emissione delle cosiddette Central bank digital currencies».

Quali sono le fasce di popolazione che rischiano di pagare il prezzo più alto? Quali pericoli corrono in questa congiuntura?

«Le persone più a rischio sono certamente quelle indebitate e con posti di lavoro precari. Gli interventi governativi per assorbire il caro bollette e alleviare il costo di benzina e diesel alla pompa hanno sicuramente avuto una funzione positiva, ma non potranno continuare all’infinito, anche perché il debito pubblico italiano ha di recente raggiunto il suo record assoluto. Il pericolo maggiore, in questa congiuntura, sta proprio nel calo del potere d’acquisto delle famiglie, specie in un Paese come il nostro, in cui i salari reali, negli ultimi 20 anni, sono calati anziché salire come è avvenuto in tutti gli altri Paesi industrializzati».

 Roberto Aria

Banner Gazzetta d'Alba