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Da Alba a Torino per passare tempo assieme ai clochard

Clochard: Fahrenheit 451 in strada per portare aiuto

NELLA GRANDE CITTÀ A fine dicembre a Torino prevale la nebbia: i portici del centro storico sono svuotati di persone, che dopo il boom consumistico del Natale prendono una tregua dall’acquisto e dall’obbligo di socialità. La foschia si appaia al silenzio e al freddo intenso, ingredienti che creano una città sospesa, in uno stato di attesa passiva del nuovo anno. Eppure ci sono molte figure che animano le strade principali: le vie Roma e Po, piazza Castello e le aree antistanti la stazione di Porta nuova.

Sono i senzatetto: quando i negozi chiudono le saracinesche srotolano materassi e coperte e si accucciano a ridosso dei pilastri, nelle nicchie. Trovano riparo nella pietra, ma col freddo sovente non riescono a dormire: molti hanno un cane vicino, per compagnia, sostegno esistenziale, protezione da eventuali attacchi.

Giulia, un’albese di 35 anni, ha trascorso i giorni a ridosso del Capodanno, percorrendo con un’amica queste strade: le due ragazze stringevano quattro sacchi colmi di focaccine, brioches, zucchero, tè caldo, pandoro e pappa per cani. «Abbiamo deciso di dedicare risorse alla beneficenza: alcuni operatori sociali ci hanno consigliato di non offrire soldi alle persone in strada per due ragioni. Alcuni uomini o donne percepiscono l’elemosina come un atto insolente e paternalistico e altri potrebbero spendere i contanti in alcol o droghe (la disperazione o la solitudine inducono talvolta a trovare riparo nelle sostanze, nda) o, ancora, per altri scopi. Perciò abbiamo deciso di portare ai senzatetto qualcosa da mangiare». Lo scopo dell’iniziativa supera l’aspetto materiale: «Volevamo trascorrere del tempo con queste persone per dimostrare loro che “esistono nei pensieri” di qualcuno e non sono stati dimenticati. Eravamo anche noi spinte dal desiderio di “imparare” da loro».

Fra le motivazioni della trasferta anche recuperare il contatto con realtà dimenticate: «Il mondo attuale coi suoi livelli di stress ci induce a scordare che alcuni gesti possono essere compiuti in modo gratuito, senza utilità effettiva o tornaconti». Questa dinamica porta «i confini identitari a irrigidirsi: finiamo per trovarci imprigionati in un mondo dove tutto assume un significato autoreferenziale».

Giulia racconta storie intense, con volti inattesi. «Sotto i portici di via Roma abbiamo incontrato almeno 30 senzatetto. Alcuni giovani, altri anziani, sia maschi che femmine. La maggioranza di loro era appena arrivata, parlava poco l’italiano. Tutti preferivano la strada ai dormitori, qualcuno perché si sentiva meglio “da solo”, altri perché si sentivano più al sicuro all’aperto: la competizione e le invidie tra senzatetto sono troppo pesanti e rischiose. In pochi lamentavano l’assenza di posti letto sufficienti, anche perché il Comune di Torino ha da poco varato un piano per l’assistenza che ha aumentato la capienza delle strutture».

Prosegue la giovane albese: «Abbiamo offerto del tè caldo. Nessuno ha rifiutato tranne uno, che era più anziano e forse diffidente: con gli altri abbiamo avuto scambi di parole e gesti normali e spontanei, tentando di non trasmettere compassione. C’è anzi una dignità molto rispettabile in chi è povero a livelli estremi: in qualche modo volevamo imparare da loro». Giulia racconta alcune delle loro storie: «Molti dei senzatetto hanno lavorato per tanti anni, ma poi sono stati licenziati e oggi non riescono a trovare collocazione. Nessuno ha una famiglia di supporto: le loro sono storie interrotte, di fragilità».

Sono le vicende di quanti «hanno sperimentato l’iniquità di un sistema che invece di aiutare, marginalizza i deboli. Una di loro, Adele, ci ha raccontato di come ha curato malattie difficili con radici e foglie, e di come quest’arte l’abbia aiutata a sopravvivere per le strade di Torino per oltre 40 anni. Un altro ha detto che a volte ha paura, ma il suo cagnolino Tridù lo aiuta a superare i momenti difficili».

Un ragazzo rumeno, ha confessato alle giovani che gli manca molto sua sorella e un giorno «tornerò a casa e scriverò un libro su quello che sto vivendo oggi». Un altro infine «ci ha raccontato di come faccia molto freddo a Torino, anche per chi dorme sotto i portici, e attende l’arrivo della primavera».

Secondo Giulia: «Queste persone vengono perlopiù dai Paesi dell’Europa orientale, ma molti sono italiani. Stare in mezzo ai senzatetto di Torino ti aiuta a capire quanta differenza esista tra i racconti mediatici o i proclami politici e la vita vera delle persone. All’inizio ti sembra di non riuscire a guardarli negli occhi, ma poi capisci che dentro di loro ci sei anche tu e non c’è alcuna differenza».  

In Piemonte ci sono circa 3.500 persone senza fissa dimora

Secondo i dati della Regione, in Piemonte i senzatetto sono circa 3.500 anche se è difficile quantificare un fenomeno così sfuggevole. La maggioranza di queste persone vive nelle strade o nei dormitori di Torino, dove ci sarebbero circa 2mila clochard secondo le stime. Per questo il Comune, a metà 2022, ha approvato un piano da oltre 12 milioni di euro, col sostegno di privati ed enti sociali, garantendo l’attivazione di 700 nuovi posti letto nelle strutture di accoglienza, case di ospitalità e appartamenti condivisi.

Eppure, non tutti desiderano trovare riparo: alcuni preferiscono rimanere all’aperto. La maggioranza dei senzatetto sono persone migranti e prive di reti di sostegno, oppure individui che hanno subito lutti, separazioni o licenziamenti improvvisi e si sono ritrovati soli e senza opportunità. Secondo i dati comunicati dall’Inps a metà 2022, in regione la povertà assoluta rimane un problema grave: nei primi 5 mesi dell’anno, erano circa 50mila le persone che hanno percepito il reddito di cittadinanza, per un totale di 100mila persone coinvolte.

Maria Delfino

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