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Salvaguardia della natura: al Parlamento europeo si giocano tre partite in una

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POLITICA EUROPEA Era particolarmente attesa la votazione di mercoledì 12 luglio al Parlamento europeo sulla salvaguardia della natura e della biodiversità e per più di una ragione. Si trattava di un test importante per valutare le prospettive future del Piano verde europeo (Green deal), per misurare le probabilità di nuove alleanze politiche in vista delle future elezioni europee e per segnare punti nella competizione in seno al Partito popolare europeo (Ppe).

Andiamo con ordine, cercando di semplificare questo intreccio di interessi in gioco, cominciando dal tema sottoposto al voto del Parlamento.

Salvaguardia della natura e della biodiversità

Si trattava di una proposta di legge vincolante presentata mesi addietro dalla Commissione europea e successivamente sottoposta alle considerazioni dei governi Ue, dove già si era registrata una spaccatura con una minoranza contraria nella quale si era collocata l’Italia con Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Svezia.

Scopo della legge è quello di proteggere almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 con misure di ripristino della natura e successivamente estendere la legge a tutti gli ecosistemi danneggiati da riparare entro il 2050. Questo per garantire la biodiversità, ridurre i pesticidi chimici del 50%, salvaguardare gli spazi verdi urbani e programmarne un aumento del 5% entro il 2050.

Contrastato era stato anche l’iter parlamentare dove in commissione non si era riusciti a raggiungere un’intesa con la conseguenza di dover andare al voto in plenaria relativamente al buio, sapendo che i numeri sarebbero stati incerti fino all’ultimo. Finalmente il risultato della votazione è stato di misura, con 336 voti favorevoli, 300 contrari e 13 astenuti. Una vittoria dei progressisti temperata da non pochi emendamenti, ma che teneva in vita il “Piano verde europeo”, oggi sottoposto al tiro incrociato da più parti politiche.

L’arena di Strasburgo ha visto scontrarsi due visioni politiche, da una parte quella decisa ad andare avanti coraggiosamente con misure concrete per la salvaguardia del pianeta e, dall’altra, quella schierata a difesa di una passato dell’agricoltura europea, nonostante le sue molte ricadute negative sull’ambiente.

Da una parte le forze compatte del centro-sinistra (Socialisti, liberal-democratici e verdi), dall’altra il Partito popolare europeo (con una significativa spaccatura al proprio interno) con le destre e ultra-destre, tra queste Fratelli d’Italia e la Lega.

Nuove alleanze in vista del voto europeo del giugno 2024

Molti hanno visto in questa contesa politica una prova generale di nuove alleanze politiche tese a preparare, dopo le elezioni del giugno 2024, una futura maggioranza del Parlamento europeo in grado di mandare all’opposizione le forze di centro-sinistra, i socialisti in particolare. La costatazione è che oggi non ci sono i numeri per farlo e non è facile che vi siano neanche nella prossima legislatura.

Nel contrasto tra i due schieramenti ne emergeva un altro sotto traccia, di carattere più personale, ma non meno rilevante politicamente, all’interno del Partito popolare europeo (Ppe), tra due leader tedeschi: Manfred Weber, presidente del Ppe, vittorioso alle elezioni europee del 2019 ma candidato sconfitto dalla coppia franco-tedesca Merkel-Macron alla presidenza della Commissione europea e Ursula vonder Leyen, anch’essa del Ppe preferita dal Consiglio europeo per quella presidenza della Commissione cui puntava Weber.

In questo contesto, il voto del Parlamento europeo offriva un’occasione per un regolamento di conti tra i due contendenti, confermando il sostegno della maggioranza europeista alla Von der Leyen e riconfermando una sconfitta per Weber, che da tempo conduceva un’opposizione strisciante alla politica ambientale della Commissione.

Mancano ancora molti mesi al voto europeo del 2024, ma la battaglia è già al calor bianco. E non solo in Italia.

Franco Chittolina 

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