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Mostra su don Meyranesio a Sambuco è organizzata da un albese

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ESPOSIZIONE Fino al termine di settembre, al centro di documentazione di Sambuco, al sabato e alla domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18, sarà visitabile la mostra documentale su don Francesco Giuseppe Meyranesio, originario della frazione Castello di Pietraporzio e parroco di Sambuco dal 1768 al 1793. A organizzarla è un albese, Mario Bruna: «Sono originario di questo paese montano e, avendo una casa, vi trascorro molto tempo. In esposizione ci sono una ventina di pannelli, con fotografie e didascalie, in cui racconto chi fu il personaggio. Per avere un parere qualificato, mi ha aiutato il professor Giovanni Mennella dell’Università di Genova». Oltre alla pratica religiosa, il sacerdote «viaggiava, ricercava in archivi pubblici e privati, studiava e scriveva, intrattenendo rapporti con gli esponenti della cultura. Scrisse vita e omelie di santi e beati e il suo capolavoro, interamente in latino, è il Pedemontium sacrum (Il Piemonte sacro), opera di 450 pagine sulla vita dei vescovi torinesi e piemontesi, delle chiese e monasteri dal III al XVI secolo. Sorprende come, in un angolo sperduto di montagna, sia stato in grado di sviluppare lavori così impegnativi».

L’aspetto più controverso riguarda lo studio dell’epigrafia latina, «scienza che studia le antiche incisioni su marmo. Nacque nella metà del Settecento e il Meyranesio si inserì nel novero degli studiosi. Quando le iscrizioni erano incomplete, però, aggiungeva testi di sua invenzione. Un costume, all’epoca, abbastanza diffuso. Nel 1755, poi, disse di aver comprato da un commerciante di Caraglio il codice Berardenco, raccolta di documenti e pergamene: fu appurato, nel 1867, che si trattava di un falso storico, frutto della fantasia del parroco di Sambuco. Nel 2014 gli studiosi Giovanni Battista Fossati e Alessandro Vertamy, attraverso un grande lavoro investigativo, hanno scoperto documenti inediti che attestano la bontà di alcune sue ricerche e del suo agire, ritenendo impossibile la falsificazione di una tale mole di documenti».

La storia di don Meyranesio si lega alle vicende di un illustre albese, il barone Giuseppe Vernazza, nato nel 1745 e morto nel 1822. Prosegue Bruna: «Spesso il parroco si recò nella casa di campagna del Vernazza, del quale divenne amico e confidente. Erano soliti scambiarsi documenti storici e fu nel cortile dell’abitazione che osservò il grande cippo romano, del primo secolo avanti Cristo, ritrovato sulle sponde del Tanaro nel 1779. Il barone lo fece portare lì e, oggi, è conservato al museo Eusebio. Il Meyranesio copiò la parte presente e inventò la restante, aggiungendo il riferimento a una divinità».

Davide Barile

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