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Sessanta anni dei Nomadi nelle parole di Beppe Carletti (VIDEO)

Sessanta anni dei Nomadi nelle parole di Beppe Carletti 3

L’INCONTRO Beppe Carletti, a Castagnole delle Lanze, prima dei due concerti di ieri, ci ha raccontato le emozioni, gli eventi, la storia di sessant’anni dei Nomadi

«È una storia che non avrei mai pensato di vivere. Quando partii a sedici anni non avrei mai creduto di incontrare il Presidente della Repubblica, né Fidel Castro, né altri personaggi che ho conosciuto».

Io sono un suonatore

«Ho cominciato con la musica a nove anni; ho avuto la fortuna che i miei genitori erano operai nel 1955; hanno creduto in me e mi hanno lasciato fare. Ho iniziato a suonare nelle case. Allora non avevano il giradischi e quando facevano la festa una decine di coppie chiamavano qualcuno a suonare la fisarmonica così potevano ballare. Mia mamma si raccomandava sempre di  riportarmi a casa presto».

L’incontro con Augusto Daolio

«Poi ho incontrato delle persone giuste e tra queste Augusto. I trent’anni che ho vissuto con lui siano stati fondamentali per la storia dei Nomadi. Fu un incontro casuale in una balera, lui venne sul palco, me lo fece conoscere il chitarrista, cantò tre canzoni – Be bop a lula e quel tipo lì di canzoni – e la gente andò in visibilio, non erano abituati ancora a quel ritmo e divenne il nostro cantante. Eravamo molto diversi ma i nostri caratteri si fondevano, ci univano; si è sempre fidato di me, per Augusto i Nomadi erano una famiglia».

Sessanta anni di vita per il gruppo

«Nei sessant’anni di vita del gruppo sono stati 24 i musicisti che, di volta in volta, hanno costituito la formazione. Sono fortunato che ho dei compagni di viaggio con cui mi trovo bene. Un giorno un ragazzo ci ha detto che i Nomadi cambiano più cantanti che mutande, ma noi non abbiamo mai voluto cambiare: Augusto è morto, Danilo Sacco se ne è andato, abbiamo avuto Cristiano Turato per cinque anni poi è scaduto il contratto ed è arrivato Yuri Cilloni otto anni fa e gli ho detto portami fino alla fine, io non sono eterno. La voce del cantante è quella che caratterizza il gruppo e noi con Augusto eravamo i numeri uno e Yuri è emiliano e le vocali le pronuncia come Augusto».

Gli incontri

«Ho incontrato Yasser Arafat (ex presidente della Palestina) quindici giorni dopo la morte di Rabin (ex primo Ministro di Israele), puoi immaginarti che atmosfera c’era. Non mi sento un avventuriero, è capitato. Lui ha accettato di incontrarmi e abbiamo parlato un’ora. Poi l’abbiamo pagata all’aeroporto dove ci hanno fatto di tutto. Quando l’ho incontrato c’erano le televisioni, quindi sapendo dell’incontro gli israeliani ci hanno fatto morire. Volevano farci ripartire solo in sei. Poi ha ceduto quella signora là, sai va bene così si vince la guerra e non la battaglia».

«Ho incontrato il Dalai Lama dove ha il governo in esilio nel Nord dell’India e anche con lui oltre un’ora di colloquio seduti sul divano. Parla un inglese molto bello e abbiamo parlato in generale di vita e mi ha detto una cosa molto bella: se impari la mia religione amerai di più la tua. Una cosa così ti lascia di stucco, dopo cosa gli rispondi?».

L’incontro fondamentale per i miei sessant’anni è stato quello con il presidente Sergio Mattarella che ci ha intrattenuto trentacinque minuti solo noi in un’apposita stanza. In seguito mi è arrivato un messaggio dal suo assistente in cui il presidente era felice e si complimentava per i contenuti dell’incontro. È una di quelle cose che ti rimangono e che non hanno prezzo.

La passione di tutta la vita

«Una storia unica con Augusto ho fatto trent’anni e poi altri 33, una storia che ha dell’incredibile. Mi piace troppo quello che faccio, sai a 77anni potrei dire basta, ma ho sempre fato questo con passione.

C’è stato un bivio all’inizio del nostro percorso musicale, avere la possibilità di dire ho Battisti, nel suo campo un numero uno, o Guccini. Tu avevi due scelte una a desta e una a sinistra e abbiamo scelto quella che era più consona a noi. Avevamo diciannove anni e avevamo una musicassetta con dentro Dio è morto, Noi non ci saremo, Per fare un uomo. Quando è venuto Mogol con Battisti stavamo incidendo a Milano Dio è morto. Lui ci ha fatto sentire Non è Francesca e io gli ho risposto “questa non la facciamo”. E lui ci ha detto “o tutto o niente”. Dovevano scegliere tutto Battisti e lasciare perdere tutto il resto. Di Guccini c’è né uno solo, abbiamo interpretato una parte delle sue poesie, non sono solo canzoni. Per cantare certi pezzi ci vuole una certa faccia, noi non eravamo i bellocci, con gli occhi azzurri, i capelli biondi; siamo sempre stati molto terra terra».

I concerti di oggi

«Questo è un disco di una volta quando tutti prendevano gli autori impegnati: noi abbiamo Luciano Ligabue, Francesco Guccini  e Giorgio Faletti. Ho chiamato Francesco, “Ti ricordi nel 1967 il primo disco Per quando noi non ci saremo? Ci desti una poesia, cosa dici lo rifacciamo?”. “Certo, però non avere fretta”, fu la risposta. Era settembre e ai primi di gennaio ho richiamato Raffaella, la moglie, e mi dice che tra quattro giorni sarebbe arrivato il pezzo. Avevo già in mente di far recitare queste cose a Neri Marcorè. Mi interessava Neri per il suo essere, la sua voce, perché lui è credibile e subito ha detto di si.

Un collaboratore di Ligabue mi ha chiamato e mi dice che Luciano ha una cosa da farmi sentire. Mi dice che nel mese di febbraio è andato a Reggio a vedere una mostra su Augusto e, tornato a casa, in un’ora ha scritto una canzone su di lui. Luciano me la fa ascoltare e mi chiede se mi piace. E mi piace si. “È tua”, risponde. Così è nata Cartoline da qui che dà il titolo all’album uscito quest’anno.

Poi avevo questo testo di Giorgio Faletti. Lo avevo incontrato a Lampedusa, al festival che organizza Baglioni a cui ci aveva invitati e mi aveva dato questa poesia rimasta per anni nel cassetto.

Negli anni ottanta non suonavamo più Io vagabondo ed è stato Fiorello che con il Karaoke l’ha ripescata e da allora è diventata un inno, un unico nel panoramica della musica italiana. Mi ricordo che quando la portammo alla casa discografica per inciderla per il Festivalbar ci dissero “se vi piace fatela pure”. Una delle nostre fortune è sempre stata di fare noi le scelte e rimanere noi stessi. Noi con il nostro modo di essere o di fare, di stare in mezzo alla gente, un certo tipo di canzone perché quando viene una famiglia a un concerto con i bambini vuol dire che l’ambiente è pulito e le parole sono quelle giuste».

Castagnole Lanze, un palco speciale

«A Castagnole il prossimo anno saranno 50 volte che cantiamo qui e credo sia una di quelle cose che vanno scritte. La prima data fu nel 1967 e abbiamo saltato un anno perché è morto Augusto. Un gruppo che torna nella stessa città per così tanti anni penso non esista. È una tassa sull’amicizia che pago volentieri a Lorenzo e a Masengo, per un’amicizia di quelle vere e l’ultimo sabato di agosto si va a Castagnole. Per i cinquant’anni, con Lorenzo, faremo qualcosa di sicuro per celebrare questo evento».

Noi andiamo avanti

«Sessant’anni sono volati via, sono stato fortunato. Se volevo chiudere facevo un disco con tutte le hit, noi vogliamo dire che c’è ancora vita. Noi andiamo avanti, noi ci sentiamo gente di parola, noi crediamo ancora in queste cose qua. Le nostre scelte di sessant’anni fa sono diventate il nostro modus vivendi. Ho fatto della solidarietà il modo di fare le mie vacanze. Io ogni tanto vado a vedere cosa abbiamo fatto, queste cose vanno seguite.

Insieme ai fan ho costruito una casa in Cambogia vicino all’ospedale di Emergency dove vi erano bambini senza gambe e senza braccia, una cosa straziante. Questi bambini quando guariscono vanno a chiedere l’elemosina per strada, se invece hanno una casa imparano a leggere scrivere  e hanno un’altra aspettativa di vita. Abbiamo fatto questa casa (si commuove per alcuni minuti) per 25 bambini e ne ho preso in spalla, all’inaugurazione, uno che non vedeva l’ora di entrare, è stato un momento che mi emoziona ancora oggi. Non mi sono mai sentito così importante, sono cose che ti strappano il cuore.

Augusto mi diceva spesso “pensa che bello Beppe se io e te non ci fossimo più e i Nomadi potessero continuare” e io continuo per lui, per la gente che ci segue».

Per la seconda volta si commuove nel ricordare il percorso con gli amici, le emozioni, le tragedie, i momenti felici. Pensare ai fan club alle 160 cover band censite, 360 canzoni, 90 album e spera di farne ancora: saranno canzoni che parlano di vita, del momento che stiamo vivendo, canzoni da Nomadi.

Pierangelo Vacchetto

 

 

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